Parenti serpenti.. Omelia Santo Natale 2014 – Messa del Giorno – B

I nostri presepi raccontano una storia. Un po’ sgangherata, lo sappiamo: due genitori profughi, lontani dal loro paese, messi un po’ male.. vivono la cosa più bella della loro vita in modo così improvvisato.
Possiamo rappresentare questa storia in mille maniere, con tanti materiali e spunti ma resta nuda e cruda ai nostri occhi. E speriamo anche provocazione alle nostre coscienze. Deve comunque sempre un po’ almeno scandalizzarci.
Suggestiva, tenera a volte rischia perfino di apparire scontata. Ma non importa. La dobbiamo portare nel cuore.
Tanto è semplice il presepio e scarno il testo di Luca che ce l’ha raccontato questa notte tanto sembra difficile e complesso il vangelo di Giovanni che abbiamo appena accolto. Ci parla di un verbo. Ma noi vediamo un bambino. Un Dio che si fa verbo significa si fa azione.
Nella lettera agli Ebrei, il cui inizio dovremmo ricordarlo a memoria almeno.. ci racconta che molte volte e in modi diversi Dio ha parlato.. e in queste espressioni c’è tutto l’antico testamento. Profeti, storie, racconti, esperienze, personaggi.. dicono tutti una cosa.. Dio ha parlato: ha cercato di mettersi in comunicazione, di raggiungere l’umanità. Lo ascoltiamo nelle prime letture di tutte le messe che celebriamo.
Dio che interessato a noi, vuole fare alleanza. Finché ad un certo punto.. ha scelto di parlare una volta per tutti.. forse perché stanco o demotivato. “ha parlato a noi per mezzo del Figlio.”
Quel bambino è l’ultima parola di Dio per noi. Ultima nel senso di definitiva. Dio non ha altro da aggiungere. Ci ha donato suo figlio.
Il di più.. lo mettiamo noi, indebitamente. Gesù è il verbo, la parola con cui Dio si è offerto a noi, il suo biglietto da visita.
Quanta fatica facciamo a comprenderlo. Si offre a noi come luce, ricorda Giovanni nel prologo. La luce del mondo.
Ma questo testo ci da sempre anche due sberle, che non possiamo tralasciare.. perché scritte 2000 anni fa eppure attuali, erano profetiche. Come un avviso. Succederà. “il mondo non lo ha riconosciuto”.. ”i suoi non l’hanno accolto”:
Riconosciuto: non solo come fa un papà all’anagrafe. Il mondo non lo riconosce, cioè non gli da identità, fiducia, dignità. Ha altro da fare.. troppo povero e crudo questo segno. Preferiamo fare a meno di lui. Ci basta il natale di serenità, pace e buone feste. Basta con sta fede cristiana. Ognuno è libero di festeggiare come e quel che  gli pare!
I suoi non l’hanno accolto: siamo noi. Primo chi vi parla. E’ dura sta frase. I suoi. Fa rima con noi. Dobbiamo rappresentarlo, predicarlo, cantarlo, visitarlo, presentarlo.. ma che fatica accoglierlo. Rischiamo di farne un mito, funzionale ai nostri bisogni e protagonismi. Magari nel suo nome litighiamo e ci dividiamo. Accoglierlo vuol dire ascoltarlo e come dicevo stanotte: arrendersi. Lui fa come il padre, ricordate la seconda lettura? Continua a parlare in tanti modi.. ma noi spesso..
Pur a fatica sappiamo che Dio ci chiede di viverlo come Padre. Maria ci è madre. E Gesù? Se lui è il figlio di Dio, noi siamo cosa? Suoi? Fratelli! Gesù è nostro fratello. Questo rende ciascuno di noi figlio di Dio.. l’abbiamo sentito. Guardiamoci attorno..
Pensiamo a questo. E’ nato per noi un fratello. Nessuno può dirsi più figlio unico. Ne solo.
Gesù è fratello: da qui diventerà Signore, Maestro, Messia..
Ma resta fratello. Ecco questa storia che amiamo nei nostri presepi cosa ci faccia ricordare. Un fratello. Viene ad abitare cioè vivere in mezzo a noi. Significa che cammina al nostro fianco. Significa che gli interessiamo, è disponibile e reperibile per noi. Quando entriamo in chiesa cerchiamo subito con lo sguardo il tabernacolo. Quella è la fonte e la custodia del nostro essere fratelli e sorelle.
C’è una icona della tradizione russa, molto antica: dice bene con una immagine schietta questa cosa. Gesù al fianco di uno senza nome, per averli tutti, gli tiene una mano sulla spalla e sembrano camminare. Ecco la fede cristiana. Camminare, vivere, affrontare la realtà di tutti i giorni riconoscendo che Gesù al nostro fianco cammina con noi, ci tiene la mano sulla spalla; è quella luce di cui abbiamo già parlato e che Giovanni, nel suo vangelo di oggi, continua a descrivere come una luce. Da accogliere, far entrare nei nostri cuori pieni, forse un po’ pigri e superbi, orgogliosi e indaffarati. Ma tutto parte da qui.
Questo fratello ci rende parenti. Io non ho coraggio di dire fratelli e sorelle.. questo però ce lo chiede lui insegnandoci il Padre nostro. Ecco la nostra dignità grandissima e bella.
Dio nessuno l’ha mai visto, dice Giovanni.. eppure spesso ne parliamo con così tanta sicurezza.. politici, preti, gruppi religiosi, tradizioni sociali.. come una coperta corta ognuno se lo porta dalla propria parte, ognuno gli fa dire quel che più gli comoda.. ma non lo ascoltiamo mai. Solo questo fratello ci farà vivere Dio come un padre. L’ha detto chiaramente paragonandosi ad una porta. Un padre, non un distributore. Gli parliamo tanto, lo stordiamo di preghiere, gli facciamo liste di cose da fare e persone da salvare. Ma non lo ascoltiamo mai. Purtroppo non lo lasciamo entrare se non a fatica nelle nostre vite. Ecco perché ha parlato in modo definitivo e ci ha donato un fratello. Con lui lo riscopriamo solidale, non colpevole.
Appassionato a noi, non estraneo. A lui affidiamo i nostri matrimoni, i sacramenti che celebriamo, il bene che facciamo, la speranza che coltiviamo. Questo fratello ci rende parenti. Parenti fa rima con serpenti. Ma questo si è sempre saputo. Eravamo stati avvisati. Fratelli e sorelle non significa che va sempre tutto bene.. ma che si può sempre recuperare. Perché si ha un’origine comune e una fonte condivisa. Quando non seguiamo tutti Cristo cominciamo a seguire noi stessi e ognuno va in una direzione, ognuno pensa giusta.. così non ci si incontra mai.
Questo fratello ci insegni, non ci doni.. la pace. Ci testimoni la speranza, non ce la regali. Ci mostri la carità, non ci giustifichi dal farla noi per primi. Ci tratti da adulti insomma, liberi e responsabili. Ci aiuti a riconoscerci fratelli e sorelle nel suo nome, nutriti da un unico pane che è il suo corpo, guidati da un’unica luce, in ascolto di una sola parola. Il presepio, insomma, comincia dentro di noi e ci rende fratelli e sorelle con Gesù.
Solo così potremo continuare ancora “molte volte e in diversi modi” a parlare di lui, a raccontarlo, cantarlo, rappresentarlo e testimoniarlo. Perché dai nostri cuori ci darà la verità e la luce, ma soprattutto la fiducia per farlo.

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