Perle, cicatrici e risurrezioni… Omelia Domenica IIa di Pasqua – 2019 C

Unknown

Come nasce una perla? Accade che l’ostrica in qualche modo venga sbeccata, magari sbattendo su scogli e in quell’occasione subisca l’intrusione di un corpo estraneo, sabbia, parassiti che provocano un’irritazione dei tessuti. Per proteggersi comincia a secernere una sostanza cristallina, liscia e dura intorno all’oggetto estraneo, chiamata madreperla. Strato su strato, quel che l’ha ferita viene accolto, integrato, avvolto, pian piano per farla vivere. Solo un’ostrica ferita produrrà quella bella, splendente gemma che chiamiamo perla.

   Oppure pensate ad una cicatrice sul vostro corpo: ci ricorda un momento di sofferenza, una ferita che per mesi ci ha fatto soffrire e con pazienza si è rimarginata. Ogni cicatrice ci ricorda bene quanto è accaduto ma ci racconta anche che il dolore a poco a poco è passato: al limite quando cambia il tempo fa ancora un po’ male ma l’ho superato e ora so gestirlo, non comanda più la ferita ma io… non siamo chiamati a dimenticare quel che ci ha fatto soffrire nella vita (esperienze, persone, situazioni…) ma a cicatrizzarlo e integrarlo pian piano nella nostra storia, come la perla, a custodirne la memoria ma non il potere di nuocere ancora.

Chi non si mette al lavoro su di sé rischia di piangersi addosso tutta la vita, nel vittimismo, negli alibi, smettendo di crescere e strumentalizzando la sofferenza patita.

La fede può aiutarci a compiere questo passaggio dalla sofferenza alla saggezza e liberarci ad una vita più autentica? ad un esperienza di perdono, riconciliazione, salvezza? Io credo di sì: cosa potrebbe essere altrimenti la risurrezione, da vivere e godere qui e ora, per ciascuno di noi? 

Forse è proprio per questo che Gesù sceglie di comportarsi come abbiamo sentito. In più vangeli apparendo risorto, chiede ai suoi discepoli increduli di osservare mani e piedi straziati dalla crocifissione e dalle torture. Quelle ferite sono come la sua carta di identità: raccontano cosa ha subìto, ne ricordano il motivo e guidano ad una nuova soluzione…Gesù così ci sta dando anche una grande lezione sulla sua croce. Non è stata a caso, o un incidente non voluto. Tant’è che risorgendo Dio non gli ha donato un corpo nuovo di zecca, Gesù non è stato in carrozzeria a tirar su le pacche, no! Quando diciamo di credere nella risurrezione della carne, diciamo che noi risorgeremo con la nostra identità, la nostra storia, segnata magari da dolori e sofferenze, perché il nostro corpo è lo strumento con cui abbiamo amato, patito, goduto, sofferto, che ci ha permesso di essere in relazione gli uni con gli altri, insomma è il luogo nel quale abbiamo vissuto le nostre passioni, le cose belle e quelle faticose. Io non voglio che morendo tutto questo sparisca…perché fa curriculum, è la mia storia, il mio onore, quanto son riuscito e come ad amare e vivere fino in fondo, con le botte, le cicatrici e le soddisfazioni.

Risorgeremo con l’amore che abbiamo donato e goduto, sono i nostri gesti di amore a renderci eterni e bellissimi.

Questo a Tommaso viene proposto di vedere…che quel corpo di Cristo segnato dai chiodi, è sfinito dall’amore che ha provato per ciascuno di noi. Voi davvero vorreste che le vostre cicatrici sparissero per riavere qualcosa di nuovo e impersonale? che vostro figlio si dimenticasse della vostra relazione, nel bene e nel male? vorreste che quanto avete, ripeto, amato e patito, venisse ignorato e sostituito?

  Ringraziamo il Signore perché noi non ci reincarniamo in qualcosa d’altro ma risorgeremo con Lui non da anonimi, neutri e perfetti ma da vincitori della morte, nella vita eterna, di buona qualità, ammaccata, stanca, ferita ma risorta. Ecco come ciascuno di noi può essere quella perla…riconoscendo che il male non ha vinto ma io l’ho imparato a gestire e anzi magari a sfruttare nel mio cuore…perché magari quanto mi ha fatto soffrire ho saputo trasformarlo in sensibilità, attenzione, passione, risposte per gli altri… magari si è fatta scelta professionale, di impegno sociale, umano, caritatevole…

Ti offriamo Signore le nostre vite e qualche pagina buia in noi, qualche croce. Donaci la fede e la pazienza di crescere con te e far nostre le parole belle con cui Tommaso si affida a te riconoscendoti “mio Signore e mio Dio”… Una perla, in noi forse nasce anche da qui!

Domenica di Pasqua 2019-C

 

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E. Burnard – Pietro e Giovanni corrono al sepolcro. (1898)

Tempo lettura previsto: 4 minuti

In ascolto del Santo Vangelo secondo Giovanni 20, 1-9

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Pasqua significa questo Vangelo. Magari commentato visivamente dallo stesso quadro? perché no, davvero non ricordo le immagini già usate nelle mie gocce…

Questa pagina di Giovanni ci metta un po’ di pepe: la corsa non sia solo per smaltire i fasti del pranzo di Pasqua e di Pasquetta, tra cioccolato, grigliate e verdurine primaverili ma l’invito ad alzarsi di posto e cambiare prospettiva. Facciamo nostra l’incredulità apprensiva di Giovanni sulla sinistra, con le mani raccolte al petto quasi a dire “ma che cacchio vuoi che sia successo?? non ci posso credere” come pure l’indegnità stupita e commossa, un po’ tontolona di Pietro sulla destra… che pare ancora battersi un po’ il petto in seguito alle grandi performances dei giorni precedenti…

Qualcuno vede nei due l’amore appassionato e la chiesa ordinata; forse sono semplicemente due anime da custodire contemplando le prossime settimane che ci si aprono davanti…

Lascio la parola a papa Kekko

tratto dall’esortazione apostolica “Evangelii gaudium” sull’annuncio del vangelo nel mondo attuale.

83. Così prende forma la più grande minaccia, che «è il grigio pragmatismo della vita quotidiana della Chiesa, nel quale tutto apparentemente procede nella normalità, mentre in realtà la fede si va logorando e degenerando nella meschinità». Si sviluppa la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio». Chiamati ad illuminare e a comunicare vita, alla fine si lasciano affascinare da cose che generano solamente oscurità e stanchezza interiore, e che debilitano il dinamismo apostolico. Per tutto ciò mi permetto di insistere: non lasciamoci rubare la gioia dell’evangelizzazione!

Frocio, divorziato, negro, terrone, sfigato…Omelia Quinta quaresima 2019-C

maria_maddalenaUn sasso in mano: che sensazioni vi dà? è comunque un’arma, sono più forte, posso difendermi o attaccare (certo per legittima difesa!). Guardando l’adultera…mi sento giusto, migliore, a posto, chiamato a denunciare, giudicare, accusare, condannare e punire. In fondo c’era da rispettare la legge di Mosè o la nostra…

      Non abbiamo mai avuto un sasso in mano per lapidare ma forse con la nostra lingua, chiacchiere inutili, commenti maliziosi per denigrare, magari alzando la voce indignati, le lamentele, alcuni gesti e scelte, insomma abbiamo fatto anche di peggio, no?

La lapidazione era da vigliacchi perché non si riusciva a sapere quale sasso era stato fatale, quindi potevi condannare ma metterti a posto la coscienza sapendo che forse il tuo sasso non aveva ucciso: la cara legge del branco…non vediamo l’ora anzi cerchiamo qualcuno a posta per sparlare, sai cosa è successo, cos’ha fatto quello, ma si può?? da soli non c’è gusto, cerchiamo subito un pubblico che ci confermi…unione fa la forza, ci si dà ragione e rinforza a vicenda, ci si sente migliori….

    Un post it in mano: come un’etichetta…sei sempre il solito, non cambi mai, sfaticato, immigrato, brutta persona, negro, bon da gnente, tossico, reciòn, falso, sfigato, terrone, ipocrita, pedofilo, handicappato, approfittatore, ladro, ignorante, imbriagòn…

che effetto fa? quando ci siamo sentiti etichettare in qualche modo, magari in famiglia, e non hanno mai cambiato idea né si sono accorti che ce la stavamo mettendo tutta per migliorare e siamo rimasti ingabbiati da questa zavorra…

Proviamo a sostare un attimo riconoscendo quale etichetta ci sentiamo addosso o quale mettiamo e a chi, perché…

Ora scambiamoci pietra e post-it, ….   che effetto fa? va meglio? dal sasso all’etichetta e viceversa..

Gesù si è trovato nella stessa situazione: in realtà non è la donna ma lui sotto torchio. Ne va della sua fama (quello che accoglie tutti) o della sua credibilità (la legge di Mosè vale anche per lui!).

La buona notizia è che Lui, dice, non condanna nessuno. Nemmeno oggi. Ci offre un volto di Dio, il padre, così. Che effetto ci fa? Dio non condanna? ma scherziamo? come si fa a tenere ordine, regole e rispetto…che sensazione proviamo? Non ci viene da prendere le distanze da questo Gesù? se, se ..baucco.

  Pensate che questa pagina del vangelo di Giovanni non è stata resa pubblica che molti secoli, la chiesa l’ha sempre occultata: non poteva essere annunciato un Dio che non condanna…come si fa?

Eppure se ci pensiamo ci sono due punti di vista da considerare.

Quello di chi, come scribi e farisei o ciascuno di noi quando voglia giudicare, sentendosi giusto e a posto, chi pensi che si debba fare così…magari confermando le etichette e punendo. A ciascuno il suo. E allora via con sassi, proclami e parole…

Ma c’è anche quello di chi si senta o si sia sentito etichettato o di chi, prima o poi capita a tutti, come l’adultera, sia nel peccato…senta di vivere a ribasso e che non vedrebbe l’ora di essere accolto senza meriti né condizioni…come accade nel vangelo.

Questo non riguarda tutti allora? chi di noi è senza peccato scagli per primo la pietra ci direbbe anche oggi Gesù, invitandoci forse a smetterla di pretendere che Lui ragioni come noi per rientrare in noi stessi e lasciarci stupire da un volto di Dio che non condanna mai. E questo però non significa che gli vada bene tutto. No, anzi.

Ma che la prospettiva possa essere diversa. Anche perché ciascuno di noi ha bisogno di riconoscersi peccatore, fragile, ferito, volubile e orgoglioso e prima o poi bisognoso di accoglienza, perdono, fiducia. O partiamo da questa nostra condizione di creature o non saremo mai realmente cristiani. Ma guardiamo cosa accade…

   Gesù non è più seduto, come chi insegna ma si alza in piedi, come il giudice che dopo aver riflettuto sta dando la sentenza.

Si rivolge a lei chiamandola donna come fa con sua madre a Cana, con la samaritana, con la Maddalena il mattino di Pasqua. Questo appellativo restituisce dignità a questa persona: la sua identità non è circoscritta al suo peccato come vorrebbero i suoi accusatori, Non è anzitutto un’adultera, una peccatrice ma una donna, una persona. Ed il valore della persona è sempre infinitamente maggiore di quello che ha fatto. La persona vale sempre più dell’atto che ha compiuto. La speranza di recupero nasce qui. In questo spazio che riesco a trovare e allargare tra il passato o l’azione..e la persona ed il suo potenziale, il peccato e il peccatore. Nella capacità di chiedersi se davvero ti senti migliore o se per caso se anche tu avessi avuto una vita simile non avresti …e se capitasse anche a te? puoi davvero escluderlo? e come avresti bisogno di essere trattato? Gesù guarda a questo. Sempre. Con ciascuno di noi. Ci ricorda che Dio non condanna mai. Accoglie sempre il figlio prodigo che ritorna, quello maggiore servile e orgoglioso che non rientra in casa, cerca la pecora smarrita, va da Zaccheo, dice di essere venuto non per i sani ma per i peccatori… 

Allora innanzitutto ringraziamo il Signore per questo suo amore che ci rinnova e fa sentire accolti ad oltranza. Ci doni l’umile consapevolezza che siamo creature e non valiamo perché giusti ma perché possiamo rifugiarci sempre nel suo amore. Esso ci renda ogni giorno più autentici, liberi e misericordiosi l’uno con l’altra.