“Dammi tre parole..” – Omelia Domenica XXIa TO – A

Gesù provoca i discepoli nel vangelo: fa un’indagine chiedendo loro che aria tiri…la gente che dice? pensiamo ad oggi…tutti parlano di Dio, lo tirano dalla propria parte. Ma di chi parlano?
 Quante volte ci siamo sentiti dire da qualcuno che è credente e  migliore di noi anche se non viene a messa? 
Ma noi non veniamo qui perché siamo migliori… ma perché ne abbiamo bisogno. In che senso? 
La nostra vita, celebrando assieme la messa, si fa risposta: significa che la fede ci coinvolge e tocca in profondo quel che siamo: paure e bisogni, desideri e speranze. Qui noi ritroviamo forza e coraggio per riprendere la nostra vita ordinaria come ci ha chiesto Gesù stesso…sale e luce della terra, fate questo in memoria di me, annunciate il vangelo, perdonate, amate, siate onesti e leali, lasciatevi lavare i piedi, accorgetevi degli ultimi, costruite il mio regno…  
Gesù poi insiste e mette spalle al muro i dodici: e voi? Il termine secondo me più significativo del brano è proprio quel “ma…” l’avversativa. Quasi a marcare una differenza. Quelli che non frequentano o che non credono, gli indifferenti, quelli che vengono a messa natalepasqua o patrono, dicano pure quel che vogliono di me, sembra rassicurare Gesù: ma voi.. chi dite che io sia? voi che mi state seguendo, avete lasciato barche, lavoro e sicurezze…voi che, oggi, venite in chiesa e lo raccomandate ai nipoti o ai figli, che vi affaticate in parrocchia, vi dite credenti…praticanti…devoti e zelanti…chi sono? cioè…cosa conto per voi?
Gesù non cerca formule a memoria ma relazioni (io per te). Non vuole risposte preconfezionate ma riscontri: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? Non si può credere solo per sentito dire o tradizione. La sua domanda assomiglia a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che importanza ho nella tua vita? Non ha bisogno della risposta di Pietro per avere informazioni o conferme, sapere se è più bravo degli altri maestri, ma per capire se Pietro è innamorato, se gli ha aperto il cuore. Cristo è vivo, solo se è vivo dentro di noi. La messa, dicevamo, ci aiuta a fare della nostra vita una risposta a Gesù: sono 3 almeno i passaggi che ogni domenica ci educano…alla fede viva in Lui:
—Dopo il vangelo diciamo “Lode a te o Cristo”…stiamo dando del tu a Cristo, il sacerdote proclama a nome Suo la Parola, e noi gli diciamo GRAZIE, lode per la Tua parola che per noi è senso, luce, forza, ci testimonia come la vita di Gesù possa ispirare la nostra, diventando stile, perché la nostra sia salvata da tutto quello che non le offre buona qualità.
—Dopo il Mistero della Fede rispondiamo “Tu ci hai redenti con la tua croce e risurrezione, salvaci o salvatore del mondo”. Tu Salvaci dall’egoismo, dall’orgoglio che chiude i cuori, dall’individualismo che erge muri e consolida distanze. Tu SALVACI, diciamo, facendo quello che ci hai chiesto di fare in tuo nome, fare della nostra vita un dono, farci pane e bontà, nutrimento reciproco nelle relazioni.
Agnello di Dio…abbi pietà di noi, dona a noi la pace: ancora diamo del Tu a Gesù, chiamandolo Agnello, riconoscendolo presente, vivo tra le mani del sacerdote, nell’ostia che ci sta mostrando e spezzando. Forse non ce ne siamo accorti della potenza di questo passaggio, delle frasi dette in automatico perché siamo sempre persi a darci la mano, spesso banalizzando quello scambio di pace.   
Grazie, salvaci, donaci pace: ecco 3 parole concrete con cui la liturgia, ad ogni santa messa, ci educa perché la nostra vita diventi risposta libera, liberata e liberante. Offriamo a Gesù questa nostra disponibilità.

Domenica XXIa T.O. – A

(Tempo di lettura previsto: 5 minuti)

In Ascolto del Santo Vangelo secondo Matteo 16,13-20

Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Noi san Pietro ce lo immaginiamo come la pubblicità del caffè o le barzellette: li a fare il portinaio. In effetti è simpatica come immagine, le sue grosse mani callose da pescatore li a tenere un mazzo di chiavi d’orate e preziose…senza nemmeno un guanto bianco o un portamento adatto. Legare e sciogliere era considerato come criterio di discernimento per questioni morali, a cui riferirsi. Come pure sulla possibilità di interpretare correttamente la scrittura. In realtà, lo vedremo, è una facoltà riferita a tutta la chiesa, non solo a Pietro.
Interessante riflettere come poi questo incarico sia andato al pescatore, al passionale frettoloso, al traditore con la servetta attorno al fuoco mentre Gesù è processato… a chi non ha mai fatto una bella figura..nemmeno in mare, eppure… eppure è Lui a ricevere tale incarico. Non perchè bravo o meritevole. Solo, al limite, perchè disponibile. O forse perchè più di altri aveva bisogno di convertirsi… le chiavi sono sicuramente segno di potere: basti pensare a quante persone attorno a noi….sbavino per avere le chiavi…della chiesa, della canonica, dell’oratorio…da un senso di potere, confidenza, servizio, di feudo, di riconoscimento e distacco… quanta pazienza…
Questa scelta di Gesù ci aiuti a riconoscerlo per quello che è … tralasciamo la domanda…diretta e l’indagine sociologica del Cristo; ma ci aiuti anche a sentire la nostra vita della stessa pasta di Pietro.. ci aiuti infine a sciogliere tante cose in più che la nostra religiosità si è incapponita a credere rispetto all’unica buona notizia del vangelo di Gesù per noi.

“Merito o bisogno? Premio o Presenza?” – Omelia Domenica XXa TO – A

Mettiamo il caso che adesso per venire alla comunione, tra pochi minuti, per fare prima facessimo solo due file: a destra chi se la merita, a sinistra chi ne ha bisogno. Dove ci metteremmo? 
-chi se la merita: perché? è stato bravo e devoto? non ha commesso peccati? figuriamoci…chi può considerarsi tale?
l’eucaristia non è un premio da meritare o meno.
-chi ne ha bisogno? e per cosa? per essere più buono, bravo e generoso? o per sentirsi a posto perché siamo a messa?
magari potremmo dire perfino che per primo si metta in fila chi ne ha più bisogno…in effetti è il prete il primo a comunicarsi, proprio perché ne ha più bisogno e urgenza. Insomma, per fortuna non sarà così. L’eucaristia è per tutti, possibilmente per quelli che la comprendono e la vogliono vivere. Altrimenti sarà solo un rito vuoto. Mi piace l’espressione popolare, cruda ma efficace…fare la comunione. Andiamo a fare la comunione. Utilissima.
Ce la meritiamo, nel senso che Gesù ce la offre, ci rende degni di accoglierlo, ha scelto di esserci fedeli ad oltranza e farsi pane. Dono gratuito, mai premio. Lo accogliamo perché nutrendoci di lui, ci faccia scoprire qualcosa in più di noi.
  Ma anche ne abbiamo bisogno…perché siamo egoisti, fragili, peccatori. La sua presenza in noi è chiamata a sfondare questi muri di difesa o distanza per donarci la forza di creare comunione. Si fa la comunione con Cristo per fare la comunione gli uni con gli altri. Lo celebriamo ogni domenica perché altrimenti alla lunga…ci ritroveremo il cuore chiuso, spento e freddo. Senza nessuna differenza. Gesù lo spiega bene nel vangelo. Il pane è per tutti, o per nessuno. Briciole, cagnolini, pagani ecc. perché tutti hanno fame di pane vero. I discepoli devoti gli chiedono esaudiscila: in realtà è mandala via, non è dei nostri. Vogliono l’esclusiva, si sentono giusti ma Gesù non è d’accordo.
Chi divide il mondo, la gente in “prima noi” poi loro, no, non è cristiano: non ha mai letto il vangelo, ne compreso a pieno la messa. Un padre che faccia differenza tra figli non è un Padre. 
E Gesù lo dimostra in questa pagina. Provocato dalla donna non credente, testimonia ai discepoli che la fame è universale…ed il pane per tutti. Gesù indicando la donna e la sua fame tenace, dimostra ai discepoli che si sentivano a posto dividendo in noi/loro, che spesso noi che la consumiamo tutte le domeniche, non ne siamo poi così consapevoli…E’ vero…forse abbiamo bisogno di venire a fare la comunione proprio per questo..
La tentazione, vedete, sarebbe quella di dire…no…con quelle mani e quella bocca con cui ti appresti a ricevere Cristo nel tuo corpo tu, non puoi schierarti contro qualcuno, contro l’accoglienza, contro i diritti dei più deboli e indifesi, non puoi non costruire comunione nella tua famiglia, con i figli o tra marito e moglie, non puoi etichettare, dividere, classificare, escludere, nemmeno fare certe raccolte firme. Non si può essere così schizofrenici. Fai la comunione con Cristo per costruire comunione, carità e giustizia, non per farti vedere. Ne perché lo meriti o per riempirti la bocca di parole. Lui non aspetta che noi siamo pronti, per donarci sè stesso, così noi non dobbiamo aspettare a fare altrettanto. Gli uni per gli altri.
Allora forse è proprio per questo che ne abbiamo bisogno. Per fare verità. La verità di una coscienza che si interroghi, sulla propria fame. Chiediamo al Signore di continuare a nutrirci come quei cagnolini…al di là della fila dove andremo a metterci, bisogno o merito, avremo tutti le mani da mendicanti: così saremo sfamati con quel pane di vita che ci offre la possibilità di fare con tutti la comunione che Lui per primo offre a ciascuno di noi.