Trinità, Presepe, “living”… Omelia Santa Famiglia 2018 – C

 

 

 

Chi prepara il presepe in genere fa molta attenzione ai particolari: le montagne, le figure presenti, la conformazione delle case, gli strumenti dei lavori, luci e accessori negli interni, dettagli sempre più precisi. Potremmo dire che è tanto più bello ed efficace più riesce a descrivere con cura e fedeltà i riferimenti storici, geografici e culturali del tempo di Gesù: si vuole realmente, forse in maniera inconsapevole, ricordare che Gesù si è davvero incarnato in un tempo e uno spazio precisi, reali. Non è nato dal nulla o da un uovo o per magia ma si è fatto storia in mezzo a noi. Dio si è voluto servire di una ragazzina e del suo fidanzato. Senza i loro consensi complementari e il rischio che hanno corso (Giuseppe di fatto avrebbe dovuto lapidare Maria perché infedele!) non ci sarebbe stata storia sacra. Dio non è uno che si arrangia. E questo lo dovremo ricordare a partire dal segno della croce, che ci ricorda sempre una cosa che forse diamo per scontata: quando diciamo Dio, noi diciamo per certi versi una relazione, come una famiglia. Il Padre, il Figlio, lo SS, che è l’amore che li lega e alimenta. La Trinità ci ricorda che Dio è solo il “cognome”, i nomi sono 3 diversi, ciascuno a servizio dell’altro. Come Maria e Giuseppe assieme a Gesù.

Questa famiglia di Nazareth non ha nulla di speciale: anzi…e non solo per la solita ormai retorica che erano immigrati, o giovani o poveri e sprovveduti…Eppure essa porta un messaggio a tutte le nostre famiglie, l’annuncio che è possibile una santità non solo individuale, ma una bontà, una santità collettiva, familiare, condivisa, un contagio di santità dentro le relazioni umane. Santità non significa essere perfetti; neanche le relazioni tra Maria, Giuseppe e Gesù lo erano. Non significa assenza di difetti, ma pensare il vangelo e tradurlo, con fatica e gioia, in gesti e atteggiamenti. Ora il succo del vangelo è l’amore. In quella casa dove c’è amore, lì c’è Dio.  E non parlo di amore ideale ma dell’amore vivo e potente, incarnato e quotidiano, visibile e segreto. Che sta in una carezza, in un cibo preparato con cura, in un soprannome affettuoso, in un cassetto pieno di calzini puliti, nella parola scherzosa che scioglie le tensioni, nella pazienza di ascoltare, nel desiderio di abbracciarsi. Non ci sono due amori: l’amore di Dio e l’amore umano. C’è un unico grande progetto, un solo amore che muove tutto e tutti.

Scese con loro a Nazaret e stava loro sottomesso. Gesù lascia i maestri della Legge e i loro discorsi su Dio e va con Giuseppe e Maria che sono maestri di vita. Ha fatto tutta la gavetta con noi…Per anni impara l’arte di essere uomo e credente guardando i suoi genitori vivere: lei teneramente forte, mai passiva; lui padre non autoritario, che sa anche tirarsi indietro. Come poteva altrimenti trattare le donne con quel suo modo incredibilmente libero?  Le beatitudini Gesù le ha viste, vissute, imparate da loro: erano poveri, giusti, puri nel cuore, miti, costruttori di pace, con viscere di misericordia per tutti. E il loro parlare era: sì, sì; no, no. Stava così bene con loro, che con Dio adotta il linguaggio di casa, e lo chiama: abbà, papà. Che vuole estendere quelle relazioni a livello generale e dirà: voi siete tutti fratelli.

Insomma, dalla Trinità alla santa famiglia il nostro Dio si offre sempre e solo attraverso una relazione come chiave e contesto di vita. E’ qui che possiamo incontrarlo. Purtroppo oggi si respira tutto tranne che attenzione alle relazioni, in particolare in famiglia.

  Ciascuno di noi proviene da una famiglia e la porta dentro di sé, nel bene e nel male. Ciascuno di noi ambisce a crearsi una famiglia o meglio a far fiorire l’amore ed il senso della propria vita in maniera generativa, prolungando da sé e attraverso di sé il proprio episodio di vita in questa terra e in questo tempo.

Eppure questo tempo, il nostro presepio, vive un momento faticoso per la famiglia, la continua scandalosa assenza da parte della politica di agevolazioni sociali, economiche e lavorative, i problemi enormi di denatalità che condizioneranno pesantemente e drammaticamente il futuro di tutti…e una società sempre più chiusa e anziana. Con un sorriso ma…Pensiamo alla tv degli ultimi decenni: i Robinson, i Jefferson, la famiglia Bradford, Arnold, la famiglia Addams, Sandra e Raimondo Vianello, i Cesaroni, i Griffin, i Simpson…la famiglia era luogo di vita, scambio, realtà di sentimenti, scelte, cose belle e brutte, era un riferimento. Ti ci riconoscevi, con un sorriso in quella sorta di piazza dove le vite di ciascuno si rinviano e completano a vicenda. Dove ciascuno è parte di qualcosa più grande che lo integra e sostiene. Non ci scappi e impari, come Gesù a Nazareth, ad essere te stesso..da li siamo arrivati a qualcosa oggi di ben più tragico con uno strisciante trionfo dell’egoismo..molti studiosi indicano come una pazzesca deriva preoccupante dell’individualismo a cui ci stiamo educando o assuefacendo…la solitudine spaventata ed egoista di chi scelga di stare da solo o meglio di gestire le relazioni senza giocarsi fino in fondo. Nessun impegno, nessun dovere, solo vie d’uscita. Credo che emblematica sia allora la pubblicità di quel famoso cuoco che rientra nel suo “living” (forse perché pare tutto tranne che una casa reale) dopo una lunga giornata di lavoro, dove può essere finalmente quello che è,

…. una persona sola, attesa da nessuno.

E’ questa la società che vogliamo? un mazzo di individui soli, furbi, che trattano tutti come oggetti sentendosi al centro del mondo? solo diritti e capricci? non è ne umano ne tantomeno cristiano…Chiediamo al Signore di benedire le nostre famiglie così belle ed imperfette, gli sforzi quotidiani per renderle umane e socievoli, le fatiche che portano a nuove risorse, le croci che uniscono, le soddisfazioni che allargano il cuore.

Siano il presepe più bello e dettagliato in cui continuare ad accoglierlo e riconoscerlo presente, ci doni per questo la sua luce e la sua forza.

Lasciamo ci rivolga la Parola… Omelia S. Natale 2018 – messa del giorno

Unknown

Durante tante confessioni….La cosa più persa è la pazienza, poche parolacce, bugie ma a fin di bene, preghiere non dette, saltar a messa, litigi, fratelli più piccoli picchiati, qualche chiacchiera ma senza cattiveria…ad un certo punto la domanda ogni tanto almeno, sorge spontanea: ma Dio cosa c’entra? e la fede? e ti guardano come un marziano. Ci stiamo confessando ma la fede e la presenza di Dio al nostro fianco non sono contemplati nel galateo civile delle nostre coscienze, negli elenchi di mancanze di educazione o stile. Anni di messe, parrocchia e preghiere ma Dio è assente, muto, insignificante. La relazione con Lui non esiste. Non è un TU..Solo pratiche fatte bene, male, poche o mai…

Infatti nel parlar comune parliamo di confessione..io confesso che non -come opportuno- di riconciliazione, che prevede la relazione con un tu che ti accoglie, perdona e rinforza per vivere.

Quante confessioni atee continuiamo a sentire..molta gente svuota l’umido dei problemi o degli scrupoli, non dei peccati o fa un bilancio di sé, di come va, ma si rischia di dire una serie di cose. Dio resta l’onnipresente assente, colui che non ha nulla da dirci. Quasi mai! Come nelle nostre relazioni del resto, no?

Non mi ha nemmeno rivolto la parola”: sa di “mi ha ignorato, come se non ci fossi”. Come se la mia vita non fosse importante. Chi ci tratta così ci fa sentire in più, inutili, come morti.

Chi invece ci rivolge la parola ci fa vivere: ci sentiamo riconosciuti, utili, importanti. Nasce o muore allora la relazione cioè lo scambio di comunicazione e di vita.

L’autore di Eb, 2a lettura, dice davvero che Dio ci ha rivolto la parola. Ci ha cercato e tormentato. Ci rivolge la parola per farci vivere, interpellarci. Chi ci cerca lo fa sempre per un motivo. Pronto? ah ciao, bene grazie: dimmi…o quando uno ci chiama..Mt si, eccomi, cosa vuoi?  La questione allora vedete, non è se Dio esiste  o meno ma se ha realmente qualcosa da dire e dare a quel che stiamo vivendo o soffrendo… altrimenti resta un idolo! E noi, tremendamente devoti e garbati ma soli.

  La lettura ricorda che tutto l’AT è connesso da un unico filo rosso: Dio ci cerca, vuol rivolgerci la Parola, ha qualcosa da dirci. “molte volte e in diversi modi”… Abramo, Mosè, Giuseppe, Noè, i patriarchi, i profeti chiamati ciascuno con le proprie fragilità e potenzialità, ciascuno ha una scusa per cui rifiutare Dio e la sua proposta, la storia del popolo di Israele, le sue infedeltà e di Gerusalemme ed il regno… fino ad arrivare a Giovanni Battista e alla buona notizia di Gesù, in greco «vangelo». Ecco il NT.

La prima lettura, profeta Is, usa questa immagine famosa dei piedi…come son belli i piedi del messaggero che annuncia la pace, di buone notizie che annuncia la salvezza… finalmente una buona notizia. La sua ultima parola, definitiva, è Gesù, suo figlio.

Quasi a dire..adesso basta…come il padrone della vigna nella parabola…gli avevano ucciso servi e messaggeri..manda suo figlio e uccidono pure Lui.

Dio ci ha lasciato come dire un suo biglietto da visita. Adesso c’è Gesù, è a Lui e solo a Lui che possiamo rivolgerci per incontrare Dio come un padre. Altrimenti continuerà ad essere un padrone, un controllore, un pacchetto di valori etici o tradizioni vuote, uno che ci vuole fregare o che distribuisce a caso malattie, disgrazie, fortune o silenzi.

Ci parla invece attraverso il figlio. Lui, Gesù è la password con cui  possiamo entrare nella vita di Dio per farne esperienza. Lui col suo stile. Oggi bambino, che chiede ci si prenda cura di Lui.Ecco quel verbo di cui parla il vangelo, sempre maestoso e affascinante. 

Il verbo è sempre un’azione che compiamo. Giovanni in questa pagina famosa, il prologo, pare smentire addirittura la Genesi “In principio Dio creò il cielo e la terra, la terra era deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso eccetera”. Lui invece dice che addirittura prima di creare tutto Dio aveva già in mente il verbo, cioè una parola. Ma non una parola e basta. Verbo significa azione, significa sempre qualcosa che accade. Ecco perché da sempre Dio ci vuol rivolgere la parola. E la parola che oggi ci rivolge, Natale = nascita è quel bambino. Ci sta dicendo: mi interessa la tua felicità, la qualità della tua vita. Ma vuoi davvero essere cristiano? prenditi cura di mio figlio. Imparando a prenderti cura di Lui, (ecco la fede cristiana) imparerai a prenderti cura di te stesso, delle tua umanità e quindi anche degli altri. Ecco la chiesa.

“ha parlato a noi per mezzo del figlio”. significa che la vita del figlio è per noi un messaggio. Il suo stile di vita ci annuncia il volto di Dio.. pensate nel battesimo..ecco mio figlio nel quale mi son compiaciuto. Vuoi scoprire Dio? conosci Gesù. 

Per Dio e su Dio si fan guerre, discorsi, ragionamenti, attentati, discussioni, atei, agnostici,E’ Gesù invece che ha sconvolto la gente, artisti, filosofi, scrittori, poeti, registi, musicisti…

Quel figlio è “irradiazione della sua gloria” cioè un suo riflesso, Dio si specchia in Gesù, non è un accessorio credere in Lui.

è “impronta della sua sostanza” bellissima immagine…Gesù per noi è un impronta di Dio..come quelle sul terreno, seguendole raggiungiamo chi le ha lasciate e c’è un incontro.

Questo verbo si è fatto carne, corpo, strumento con cui essere in relazione e passare da una fede morta e inutile, come un anestetico a un rapporto vivo che ci nutre, illumina, guida e sostiene.

Attenzione a noi che siamo “suoi” …faremo fatica a riconoscerlo e accoglierlo.. infatti Gv lo dice chiaramente..ci sentiamo tradizionalmente cattolici e de ciesa ma poi siamo solo praticanti non credenti…credibili almeno.

A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio .

Ti chiediamo Signore di scuotere ogni giorno con la tua parola le nostre orecchie sorde e i cuori chiusi, la nostra fede scontata e sterile. Aiutaci a prenderci cura di questo bambino che ci renderà più umani e cristiani, aiutaci a riconciliarci con te e lasciare che la tua parola ci renda tuoi strumenti, messaggeri coi piedi belli perché qualcosa in noi davvero non è più come prima.

 

Almeno a Natale, e dai… Omelia S. Natale 2018, messa della notte

Ci siamo: è Natale. 24 ore…da adesso fino a domani. In quante occasioni diremo una parola precisa: “almeno”. Almeno a Natale comportati bene, fa il bravo, almeno a Natale stiamo uniti, andiamo dai tuoi, almeno a Natale vado a messa e a confessarmi, almeno a Natale non brontolare, vestiti bene, fa una telefonata alla nonna, stai a tavola con noi e chiudi il tablet, almeno a Natale siamo solidali, tutti più buoni. “A Natale puoi… fare quello che non puoi fare mai….è Natale si può fare, si può amare di più”. 

Ovviamente la nausea nasce spontanea. Ci scagliamo con forza contro l’ipocrisia del Natale, come se fosse la peggiore in cui siamo immersi quotidianamente…perché o sempre o mai…o tutti i giorni ecc. Come sembriamo convinti e indignati nel riprendere gli imbecilli che ci credono. Già.      Scusate ma……. il problema qual è? Almeno a Natale? E’ -comunque- meglio- di niente!

Ben venga allora…permettersi di essere un po’ più umani. Ma non tanto per fare ma forse per vedere che effetto fa. Magari a qualcuno piacerà. Si scoprirà davvero migliore. Fare del bene, essere uniti, amare..non ha mai fatto del male a nessuno, fosse anche solo per un giorno. Che problema c’è? Non hai nulla da perdere. Se c’è una cosa ormai ritenuta direi terapeutica è fare il bene. Era ora che alcune scuole iniziassero a punire gli studenti bulli o vandali in maniera seriamente educativa: invece di sospenderti lasciandoti a casa nell’ozio davanti al computer per una settimana, ti mandiamo a far servizio con disabili o anziani. Ti rieduchiamo mettendoti nelle condizioni di ritrovare la tua umanità. Vero che è obbligato ma…il fine in questo caso giustifica i mezzi. L’idea di base è che il prendersi cura ti fa bene. Hai davanti una persona che ha bisogno di te perché in difficoltà e questo a poco a poco ti addomestica, ti provoca, fa reagire emotivamente contro paure ancestrali, timori, imbarazzi; impari ad accorgerti, avere empatia, essere premuroso, resiliente, a sentirti utile e avere uno scopo. Mentre ti curi di quella persona impari a poco a poco a prenderti cura di te stesso, delle tue paure e fragilità, delle ferite, mettendo da parte grumi di orgoglio, rancore, rabbia, risentimento con cui il tuo cuore si è ghiacciato. Amando… ti amerai. Noi quando amiamo, torniamo a vivere. Restiamo giovani… “Quando faccio qualcosa di bello per qualcuno, mi ha confidato un ragazzo durante la riconciliazione, io sento caldo nel cuore”…mi son commosso! un corpo caldo è vivo! gli ho detto, bravo!     E’ bellissimo: tentare di recuperare persone che hanno sbagliato perché umanamente azzerate ricreando loro le condizioni per poter tornare umani. Fosse anche con la terapia con gli animali o i lavori socialmente utili. Fare il bene, fa bene. Da questi casi fino ai tanti esempi di volontariato sociale, umanitario o parrocchiale..    Se non lo fai, peggiori, sei disumano. Pensate all’omissione di soccorso per strada, è reato penale non prendersi cura di chi è ferito! E siamo d’accordo perché l’indifferenza uccide, l’anima innanzitutto! Allora è bello concedersi o meglio riconoscere questo. Anche perché se permettete, è questa la pedagogia di Dio.  Cosa stiamo festeggiando questa notte? 

Dio a Maria non ha detto di essere brava o credente ma di prendersi cura di suo figlio. Ce ne rendiamo conto?

Dio non ha mandato un re potente, vittorioso, autoritario e dai mille poteri magici. Ma un bambino. Perché ciascuno imparando a prendersi cura di Lui, imparasse a prendersi cura di sé. È stato messo in una mangiatoia, e noi ce lo lasceremo appoggiare sulle mani venendo alla comunione. Prendiamoci cura di Lui per alimentare la nostra fede, evangelizzare le nostre idee mortali e atee di Dio, ridare vigore, sapore, speranza alla nostra vita. Quando accetteremo il modo in cui Dio ha voluto raggiungerci? Donandoci un fratello di cui prenderci cura, Gesù Cristo. 

Con quante idee sbagliate su Dio e i valori cristiani continuiamo a flagellarci per niente. Gesù ha indicato al mondo il buon samaritano che si è preso cura di chi aveva bisogno.

Non vuol dire fare del bene, noi veneti siamo bravi ma ci perdiamo il succo poi…significa che Dio si prende cura di te mentre tu impari a prenderti cura degli altri. E così ti prendi cura di te e non vivi più a caso. Non è volontariato, è fede che è il Signore il nostro salvatore e ci salva da quanto ci rende sempre meno umani e più atei devoti. Bellissimo. Amando impariamo a riconoscerci amati dal Signore e facciamo pace con noi stessi!

      C’è un’altra pubblicità invece intelligente e delicata: di una nota marca di pile. Babbo Natale ha portato i regali e il famoso orsacchiotto entra in scena, aggiungendo le pile ai giocattoli, in modo che i bambini aprendo i regali vi possano subito giocare. E lo fa senza farsi vedere, paradossalmente, senza farsi “pubblicità”.

È successo a tutti credo: io avevo desiderato tantissimo una macchinina col radiocomando…non credevo ai miei occhi scartando il regalo. Ma mancavano ovviamente le pile, costretto così ad attendere il 25, il 26 e la sfortuna volle pure il 27 che era domenica. Così continui a giocare con la scatola rosa del pandoro coi buchi per gli occhi…

Dietro questa pubblicità c’è lo spunto opposto all’altra, tutta la premura, l’attenzione, la capacità di prevedere e accorgersi, prendere l’iniziativa e farlo senza farsi vedere. Quanto sono indispensabili questi atteggiamenti per avere cura davvero delle relazioni, in maniera artigianale e precisa. Ecco la pedagogia di Dio, ecco il succo del vangelo, lo stile con cui Gesù ha vissuto e ci ha chiesto di imitarlo..quando si prendeva cura della vita e della dignità di tutti, gli ultimi in particolare, quando diceva…l’avete fatto a me… di tutte le cose che avremmo fatto a chi ne avesse avuto bisogno. Siamo sempre in questa triplice relazione d’amore, guai se se ne inceppa una…amati per amarci e per amare. Non solo a Natale, ma giorno per giorno, nel viaggio della vita, con Lui, illuminati da questa luce che vuole rifulgere nel buio dove l’egoismo, la rabbia e l’orgoglio indifferente ci vogliono spegnere. Chiediamo al Signore di accogliere quella luce, permettendoci di imparare a prenderci cura di Lui perché così ciascuno si prenda cura della qualità della propria vita e di quella degli altri.

E non certo almeno a Natale, ma giorno per giorno…camminando nel Suo nome, sentendo il caldo nel cuore, che pulsa di una nuova vita.