Domenica XXXIa t.o. B-2018

 

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In ascolto del Santo Vangelo secondo Marco 12, 28-34

Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Il “primo” significa l’indispensabile: quello di cui non si può fare a meno. Erano più di 630 i precetti a cui la religiosità ebraica del tempo era arrivata…la somma dei giorni 365 e delle parti del corpo allora rendicontate. L’idea insomma che tutto il tuo corpo-vita, ogni santo giorno avesse il suo precetto da rispettare. È comprensibile allora la domanda. Ma il primo significa anche l’architrave sul quale tutti gli altri sono appoggiati. Volendo osservare, sarebbe già sufficiente la risposta di Gesù, che cita la tradizione ebraica, lo “schèmà Israel” biblico…appunto ascolta.

Tutto parte con il mettersi in ascolto. Percepire una presenza, relativizzarsi, mettersi da parte, in discussione, a confronto. Non essere “l’uomo che non deve chiedere mai” come la famosa pubblicità. Ma sapere, come primo atto di fede, che c’è Qualcuno che per primo ti ha voluto rivolgere la parola. Che la vita, prima che orgogliosa iniziativa epica e solitaria, a volte disperata e struggente, può essere risposta, vocazione.

E che ha qualcosa di bello e promettente da sussurrarti. Un vangelo, appunto “buona notizia che sorprende” … per meno non ne vale davvero la pena…

L’amore viene dopo, altrimenti sarà imposizione morale, virtuosa, volontaristica o melensa scelta etica, irenica e indefinita…

Cuore, mente, forza, anima dicono bene l’organicità della risposta. Non solo devozioni, non solo “fare”, non solo preghiere e valori ma intelligenza, spirito critico, conoscenza, passione, entusiasmo, interesse. Forse oggi, in cui finalmente non è più “obbligatorio” essere cristiani, perché non viviamo in una società omogeneamente cristiana dove era scontato… oggi in cui si può scegliere… in cui si è evangelicamente minoranza, per non cadere nell’insignificanza siamo chiamati a rendere ragione della speranza che è in noi, come disse S. Pietro nella sua lettera.

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Osare: rischiare o urlare? -Omelia XXXA to 2018

 

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(E. Munch, L’urlo-1893)

Un sinonimo di rischiare? osare…Come si dice “gridare” in dialetto? osare…

Lui (il cieco) grida ma la gente lo sgrida: c’è sempre qualcuno che mette il bavaglio ad un altro, in nome dell’opportunità, delle convenienze, e anche in nome di Dio. Ciò che più colpisce in questo versetto è il fatto che la folla è la stessa del v. 46, quella cioè che segue Gesù nel suo viaggio. Questa folla, apparentemente  religiosa e «discepola», vuole impedire che il cieco «veda», diventando ostacolo tra lui e Gesù. Coloro che seguono, che credono, che frequentano possono essere un ostacolo attivo all’incontro. Quante volte l’atteggiamento di noi preti, poca radicalità, sete di potere e apparenza, scandali, il famigerato vaticano, scandalizzano! 

ma anche molti pochi sorrisi e serenità tra voi laici, rivalità, divisioni, ipocrisie e chiusure come se la parrocchia fosse una setta…o essere cristiani un dovere scomodo…quante persone allontanano! (esser meglio di quelli che vanno sempre a messa…)    E’ il colmo….

  Quel cieco che essi incontravano ogni giorno davanti alla porta e che forse hanno notato o commiserato, ora viene emarginato ancora di più «in nome di Dio». E’ come se la folla dicesse: non gridare, taci, non vedi che disturbi la processione? Dobbiamo andare dietro a Gesù, non abbiamo tempo per te che già sei cieco. C’è sempre qualcosa d’importante e di urgente che impedisce di ascoltare le persone e la vita. Ricordiamo la parabola del buon samaritano? il levita e il sacerdote passano oltre per non far tardi al tempio o non sporcarsi!

Quante volte rischiamo, dovendo fare le nostre cose cristiane per sentirci qualcuno, di dimenticarci di Cristo… del suo messaggio, del suo stile, dei suoi atteggiamenti…siamo così impegnati a recitare, per mille buoni motivi, la parte dei bravi cattolici devoti impegnati che non ci chiediamo se quello sia la sua volontà. Se il nostro agitarci o il nostro “abbiamo sempre fatto così” siano evangelici. Riduciamo fede, messa, vita cristiana a spettacolo a cui assistere e noi a spettatori soddisfatti o a consumatori…di sacramenti o anestetici religiosi e sociali.

Spesso mi chiedo se non si sia barattato il senso per il consenso…

Il bisogno del cieco qui invece è più potente dell’indifferenza della folla: egli grida più forte. Egli….davvero osa…urla e rischia!

A questo proposito guardiamo come si comporta Gesù: quella folla che ostacolava il cieco, lui la responsabilizza, chiedendole di accompagnarlo a lui. Le sta insegnando ad accorgersi di chi soffre, prima che a sentirsi a posto perché lo sta seguendo..Le sta mostrando quali sono le cose più importanti…ricordiamo il vangelo in cui, qualche settimana fa, i discepoli volevano il monopolio del bene, lamentandosi di chi faceva buone azioni senza essere “dei nostri”..Gesù risponde chi non é contro di noi é per noi!  La folla ora educata dal maestro gli conduce il cieco. 

Non l’ha giudicata ne rimproverata: l’ha messa in condizione, aiutandolo di rendersi conto. Fa fare loro esperienza dell’essenziale, li ricalibra. Mostra loro come coltivare la vera fede: nella carità. Non nella pratica religiosa perfetta e asettica ma nel prendersi innanzitutto cura di chi soffre, di chi mendica per strada acciecato dalla vita…nella capacità di accorgersi..

E questo cosa si sente chiedere? “cosa vuoi che io faccia per te?”

Era ovvio che il cieco chiedesse la vista…ma per fortuna non é ovvio l’atteggiamento di Gesù. Non é un attivista, protagonista del “fasso mi”.. No, Gesù era diverso. Si mette a servire. Chiede al cieco, chiede a te, a ciascuno di noi di cosa abbiamo bisogno:

  “la tua fede ti ha salvato”.“Non sono bravo io, sei libero tu ora”…sembra sussurrargli. E lui vede di nuovo! non era nato cieco. Lo era diventato. Chissà cosa -a poco a poco- gli aveva fatto perdere la vista, cioè la capacità di vedere, di capire, di vivere…di accorgersi…facendolo restare ai margini della vita, a mendicare, a vedere vivere gli altri. Forse questo vangelo ci sta dicendo che in realtà la vera cecità era quella  la folla che non voleva vedere chi avesse bisogno.. Quante volte siamo anche noi acciecati dall’orgoglio, dall’indifferenza, dal disincanto, dal consumo obbligato, dall’apparire banale, da falsi idoli che stordiscono ….

Possano questa pagina del vangelo e questo volto di Gesù illuminare in noi ciò che ci annebbia la vista ridonandoci la capacità di osare..osare chiedere a Lui di ridarci la capacità di accorgerci in noi e attorno a noi, che Gesù è al nostro fianco e vuol prendere sul serio l’essenziale della nostra vita.

Domenica XXXa t.o. B-2018

 

Unknown

 

In ascolto del Santo Vangelo secondo S. Marco 10,46-52

«In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.»

Gesù era sempre per strada…incontrava o ancora meglio, si lasciava incontrare. Ascoltava, parlava, curava, interpellava, guariva..sempre per strada. E il più delle volte in posti malfamati o pagani. Gerico è anche questo. Il cieco seduto mendicava.

Chissà cosa è accaduto di preciso…ma potremmo perderci su queste tre caratteristiche. Il non saper o voler vedere, restare seduti (o “sdraiati” per dirla con M. Serra), mendicare… cosa vi fa venire in mente il mendicare? quando facciamo le vittime, quelli che non hanno mai tempo, che non son capiti, che nessuno riconosce, a cui ne son successe tante, che han tanti impegni, che la sanno lunga, che son stressati, vittime o son fatti così..quelli a cui o così o niente, che piuttosto di ammettere accusano, piuttosto di riconoscere o interpretare, si chiudono…ecco..non stiamo mendicando quando viviamo questo? non siamo seduti e ciechi?

Quando non abbiamo coraggio di alzarci e darci un taglio o un’opportunità.

Che io riabbia la vista. Oggi ho voglia solo di un paio di occhiali diversi e di una pezzuola da regalare per pulire quelli di chi spesso mi incontra per strada.

 

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