XXXIa Domenica T.O. – C

(Tempo di lettura previsto: 6 minuti)

il_barone_rampante

  • Cosimo tutti i giorni era sul frassino a guardare il prato come se in esso potesse leggere qualcosa che da tempo lo struggeva dentro: l’idea stessa della lontananza, dell’incolmabilità, dell’attesa che può prolungarsi oltre la vita.” (Italo Calvino, Il barone rampante, 1957, p. 170)
  • La prima lezione che potremmo trarre dal libro è che la disobbedienza acquista un senso solo quando diventa una disciplina morale più rigorosa e ardua di quella a cui si ribella.  (Italo Calvino, Il barone rampante, 1957, p. X)
In Ascolto del Vangelo secondo San Luca 19, 1-10
Entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».
C’è chi sugli alberi non c’è mai salito, chi ci fa la casa, chi ci si arrampica, chi ci resta una vita; nascosto tra le fronde, equidistante dalla terra e dal cielo, dalla propria umanità inespressa e il volto buono di Dio.
Resta li, a mangiare sempre lo stesso frutto, a prendere pioggia, sole o vento. Non scende, non tocca la vita, resta sospeso. Sopravvive.
Zaccheo ci si arrampica per curiosità. Benedetta sia la curiosità, la domanda non stupida o banale, (Ode alla Domanda mai banale per eccellenza!), la sete, la voglia di capire come funziona e perché, cosa c’è oltre, sotto, sopra, a lato e dall’altra parte.
Il Barone Rampante non vuole più scendere… resta li nel suo microcosmo.
Pare molti di noi…
Zaccheo viene fatto scendere…e la vita è adesso, canterebbe Baglioni… incontra un volto nuovo che lo guarda in modo nuovo. Cambia tutto.
(Mioddio ho citato Baglioni…)… benedetto quell’albero… quel sicomoro… tutto quel che rappresenta…
ogni esperienza che facciamo, ogni gita, ogni viaggio, lettera che scriviamo, articolo che leggiamo, libro che acquistiamo, pagina che scriviamo, amicizia che coltiviamo, concerto a cui andiamo, disco che riascoltiamo, museo che visitiamo, chiesa in cui entriamo, silenzio che scegliamo, cibo che gustiamo scoprendo da dove e come arriva ad essere così unico e buono, ogni domanda a cui non abbiamo fretta di risponderci, ogni percezione che lasciamo venire a galla, ogni suggestione da cui ci lasciamo carezzare…
tutto è sicomoro, tutto è albero, tutto è gradino. Ogni parola nuova o meno è solo un gradino. Verso Dio? verso noi stessi? verso l’altro? verso l’alto?
verso la verità di noi? siamo noi a salire? o Lui a tirarci un po’ su allungandoci la mano?

“Riflettere o riflettersi?” – Omelia XXXa T.O. – C

riflesso

Siamo belli? si, ci guardiamo, sorridiamo, ci piacciamo o meno.
Lo avete uno specchio in bagno o vicino all’ingresso, un’occhiata prima di uscire per vedere se siamo a posto.
Ci dice come siamo fatti, come siamo presi, cosa c’è da sistemare.  Siamo in relazione con noi stessi, ci osserviamo e valutiamo anche in base a che giornata abbiamo…se siamo stanchi e arrabbiati o positivi e ottimisti. Lo specchio ci riflette quello che vediamo e possiamo vedere. ci piaccia o meno. Siamo solo con noi stessi. 
Riflettere, flettere di nuovo.. significa piegare..ripiegarsi…? inizia ad avere quasi una accezione negativa…
Eppure diciamo spesso di non avere tempo per fermarci a riflettere, a pensare… oppure mi sento anche dire che … ad una persona piace restare da solo, in silenzio, a riflettere…
cosa rara e molto molto buona, fa bene ma rischi di ripiegarti…
soprattutto poi se consideri queste tre cose come una forma di preghiera o pratica cristiana…un surrogato.
Il fariseo nel vangelo, vedete, è davanti allo specchio.
Non sta pregando, se non con le labbra, il cuore è da un’altra parte. Non è una preghiera la sua, cioè un dialogo fiducioso ma un monologo…e anche narcisista.  Infatti Gesù dice che è “tra sé”, in piedi, a dirsi quanto è bravo. Fa l’elenco delle proprie prestazioni religiose, è molto pio, devoto e impegnato. In parrocchia succede spesso che ci si comporti così.
Gesù non condanna le sue opere ma l’uso che ne fa.
Dio non serve più, tu sei molto religioso, fai tante cose religiose ma dio non ti serve più perché ti salvi da solo…
intima presunzione di sentirti giusto, a posto, bravo, de ciesa, credente praticante…anche le parrocchie spesso, se togli Dio, resta tutto in piedi lo stesso, solo la dimensione sociale e aggregativa…
E poi notate… non sono come gli altri: altri non è “come tanti”..altri significa che per lui il mondo è diviso in due categorie: lui e gli altri: c’è un malcelato razzismo, guarda dall’alto in basso tutti, sta dicendo che lui viene prima. A volte capita anche a noi: prima io, prima noi, noi veneti, noi italiani, noi di ME,PA,PO…      Gesù ci chiede di farci ultimi e noi invece coltiviamo il desiderio pretesa di essere per primi. Anche certa politica che dice prima noi… e poi fa i gargarismi con la fede cristiana… 
Se rifletti e basta incontrerai solo e sempre te stesso: in balìa di te stesso, con due rischi opposti. Da un lato di essere un giudice spietato nei tuoi confronti, negativo, esigente, cattivo, e allora solo pretese, paure, sensi di colpa o del dover essere all’altezza, dover dimostrare…
oppure il contrario sarai complice…e ti darai sempre ragione, ma si, cosa vuoi che sia, vado bene così, non faccio male a nessuno o farai magari sempre la vittima, io poverino, le mie ferite, ho sofferto tanto, son fatto così.…Ma la questione sarà sempre tra te e te…Dio non c’entra.
Chi dice prima noi o si sente a posto così, religiosamente…di facciata, a parole, non è cristiano.   Ma può diventarlo. Come?
Serve un’altra cosa: non sei cristiano perché rifletti tra te e te…
ma se cominci a rifletterti..(differenza sottile ma fondamentale) su qualcos’altro da uno specchio. Cosa?  METTI ICONA volto di Gesù sopra lo specchio.
Lo specchio ti dice come sei, l’icona chi sei.. Allora non ti rifletti ma ti lasci guardare. Non ti ripieghi ma ti lasci avvolgere. 
E non rifletti tra te ma preghi. Non dici le preghiere ma inizi almeno a desiderare di guardare alla tua vita come la guarda Lui. Ecco chi è il cristiano, chi con fede sceglie di restare davanti a questo sguardo e lasciarsi addomesticare cioè annunciare delle cose che tu da solo non puoi credere ne pensare. 
Il Suo sguardo nella fede ti annuncia la tua identità, la dignità ricevuta, quanto è preziosa la tua vita, da essere andato in croce, che qualità bella e autentica possa avere la tua esistenza. Siamo cristiani non perché riflettiamo tra noi e noi ma perché permettiamo a Lui di anticiparci e annunciare qualcosa di nuovo e inedito. Una buona notizia. Dal monologo al dialogo. Siamo parrocchia non perché facciamo e ce la raccontiamo ma perché condividiamo uniti lo stesso sguardo e questa prospettiva.
Dal riflettere al pregare… così non rischi più di essere giudice o complice ma figlio, diventi figlio perché quello sguardo te lo annuncia e quel crocifisso te lo ricorda; e mentre ti lasci abbronzare da questo sguardo, cogli la tua nuova dignità che nessun te stesso allo specchio può darti…e non hai più bisogno di salvarti da solo e dire a tutti quello che fai…
ma hai solo voglia di lasciarti salvare e dire a tutti quello che Lui fa per te…
in questo modo si ritrova a poco a poco il cammino autentico verso il proprio cuore, la propria storia.. 
con l’umiltà del cercatore,     con la sete del viandante,   con la perseveranza del pellegrino…
Il pubblicano, nemmeno di lui Gesù elogia le opere ma l’atteggiamento umile di chi ha nulla da perdere perché ha bisogno di tutto…dell’amore e della misericordia di Dio. Di guardare alla propria vita con fiducia e nuova speranza.
Chiediamo al Signore di riflettere meno e di rifletterci invece nel suo amore che è Gesù, così che nasca in noi una autentica preghiera, nel dialogo; la vita cristiana parte da questo gioco di sguardi.  
L’eucaristia di cui ci nutriremo ce lo ricorda e offre..non ha detto prima me..evitando la croce, ma prima te…perchè voglio annunciare quanto sarà bella e preziosa la tua vita assieme a me.
Con questo desiderio offriamogli la nostra umile disponibilità a lasciarci guardare così come siamo, dal suo figlio Gesù, alzando il nostro sguardo perché si rifletta nel suo.

XXXa Domenica T.O. – C

(Tempo di lettura previsto: 5 minuti)

decalcomania

Decalcomania, 1966 – Rene Magritte

In Ascolto del Vangelo secondo San Luca 18, 9-14
In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Il fariseo sa di essere migliore degli altri. Altri non molti. Altri qui vuol dire “tutti”: si ritiene giusto, bravo, devoto, indaffarato e impegnato,
alla sua preghiera manca solo, da parte di Dio stesso un bell’ Amen.
Dio gli serve come sigillo. Lui è già a posto così.
Non si attende nulla da Dio se non che gli dica.. bravo.
Il pubblicano è uno che si sente continuamente gli occhi addosso; sa che gli altri lo hanno pesato, valutato e condannato. Non lo possono vedere.
“Liquida” la preghiera e Dio in poche parole. Non ha nulla da perdere. Non ha nulla da offrire, per questo riceve tutto.
Non può pretendere nulla da Dio, per questo può chiedere tutto.
Sa di essere ammalato e che Gesù è venuto non per i sani ma per quelli che hanno bisogno di un medico.
Gesù non elogia la vita del pubblicano ma nemmeno condanna le buone azioni del fariseo.. la questione è il modo in cui quest’ultimo si pone, attraverso le sue azioni, davanti a Dio stesso.
Come se lo guardasse negli occhi.. o al limite, dall’alto in basso.
Quanto il nostro agire pastorale, la nostra morale, le nostre devozioni, le nostre immagini di noi, i nostri bisogni di sicurezza, conferma, prestazione.. ci allontanano da Dio?
lo rendono inutile.. perché annulliamo la fede in Lui scegliendo e confermando un essere “religiosi”, “de ciesa”, devoti, impegnati.. sempre in parrocchia..
In tutto il vangelo di Luca, Gesù continua ad indicarci come modelli non di vita ma di fede e di vita spirituale gli ultimi, i maledetti, quelli che non hanno nulla da perdere perché tutto da ricevere..
Perchè nulla hanno da dare (nemmeno le messe settimanali, il chierichetto da piccolo, una zia suora, i tanti anni di catechismo, gli studi teologici, la’ver tanto laorà pa a parrocchia e aver cucinato branchi interi di suini alla sagra..)
Il suo esordio, presentato dal Battista era stato (Lc 3,8) che Dio può far nascere figli di Abramo dalle pietre.. così per dire..
Questa pagina ci deve rimanere sullo stomaco. E aiutare a metterci davanti a Lui consapevoli solo di essere fragili, feriti, vulnerabili e amati. Il resto lo fa Lui.
non saremo giudicati su quanto o meno siamo stati religiosi ma su quanto abbiamo lasciato a Lui di salvarci e volerci bene.