
Forse dopo aver ascoltato questa parabola possiamo quasi tirare un sospiro di sollievo, facendo tutti il tifo ovviamente per il pubblicano e pensare magari: “Beh, per fortuna non sono come il fariseo!”. La parabola ci spiazza portandoci proprio qui, sull’orlo della consapevolezza che, in tal caso, ci stiamo comportando proprio come lui: pronti a condannare negli altri un atteggiamento che appartiene anche a noi! Fregàti!
1) Cosa portano di sé stessi venendo a pregare?
-Il fariseo inizia ringraziando Dio: ma di cosa? Non certo perché è padre misericordioso e generoso o il Creatore della vita, no.
Sa dire solo “io-i-o”: porta l’elenco dei suoi meriti e il sentirsi migliore; presenta il proprio palmares religioso di cose fatte per dio e il suo pedigree di praticante devoto, indaffarato, migliore di…ma, occhio! Benedice maledicendo, loda Dio etichettando i fratelli, condannandoli. Si può pregare così? Magari prima o dopo la messa (a volte anche durante) sparlando e lagnandosi come bambini capricciosi e viziati, adulti inaciditi, superficiali?
-Il pubblicano porta solo la consapevolezza di non aver meriti da rivendicare: tutti sanno chi è, come vive. Offre la propria miseria, il bisogno di non essere giudicato, la speranza di venire accolto e perdonato, con pazienza e umanità, trovando pace e consolazione.
2) Di cosa hanno bisogno?
-Il fariseo ha bisogno, come dire, solo di un timbro che confermi quanto è bravo, giusto e a posto.
-Il pubblicano ha bisogno solo di essere riempito: è vuoto, sarà quello che è in grado accogliere. Come una spugna.
3) In che modo si mettono a pregare?
-Il fariseo si affida alla bontà del suo fare e del “non essere come gli altri” e per questo la sua preghiera non è un dialogo confidente col Padre ma un monologo interiore: “pregava tra sé”, cioè se la fa e se la mangia; non chiedendo nulla a Dio, non riceverà nulla!
-Il pubblicano si affida alla bontà di Dio e gli mostra il cuore. Si batte il petto, come noi nel Confesso a Dio: sta quasi indicando “il colpevole”. Il cuore è la sede dei nostri affetti, dove decidiamo e scegliamo, in balìa magari delle nostre fragilità, per paura o con orgoglio…mendicando affetto e riconoscimento.
4) Quale volto, immagine di Dio hanno nel cuore?
-Il fariseo non chiede a Dio di essere resto giusto ma solo che confermi che lui è a posto, cerca un notaio che timbri la sua dichiarazione e magari gli batta anche le mani.
-Il pubblicano non ha nemmeno coraggio di alzare lo sguardo.
Sa che Dio conosce il suo cuore, può tutto, lo ama e perdona.
Detto questo facciamo attenzione: Gesù non dice che il pubblicano era buono e il fariseo cattivo o bugiardo.
Ma solo che il pubblicano fu giustificato cioè fu reso giusto da Dio, guarito, perdonato e salvato; mentre il fariseo se ne tornò a casa sua come prima, con le sue innegabili opere buone ma senza che Dio sia riuscito a scalfirlo, a renderlo giusto. Senza averlo incontrato! Il suo errore è di collocarsi di fronte a dio in modo scorretto, a partire dalle proprie opere, pensando sia sufficiente. Ma così Dio è superfluo. Quanti vivono con l’idea che dio tutto sommato non serva a nulla? Si sta bene lo stesso. Oppure va adorato, praticato, tenuto buono ma non ha nulla da offrire alla mia vita. Posso frequentare parrocchia, ricevere sacramenti e avere tanti incarichi pastorali ma…per chi? Rischio di essere un ateo devoto o un impegnato socialmente in parrocchia. Attenzione a ritenerci cristiani solo perché facciamo per la parrocchia…così cerchiamo un timbro? Lo siamo solo innanzitutto se la parrocchia, come strumento del Padre, può fare qualcosa per noi: farci crescere nella fede, nella speranza, nella qualità di vita: se riesce a farci incontrare il volto di Dio!
Di fatto potremmo dire…una cosa delicata: il fariseo è molto religioso ma si relaziona con dio o meglio la sua idea di dio.
Il pubblicano ha la gioia di lasciarsi raggiungere dalla misericordia del Padre, quello vero. Noi non siamo chiamati a credere in dio ma nel Padre di Gesù, l’unico che ci mostra il volto vero di Dio non quello presunto. Il fariseo non deve rinunciare alla sua vita irreprensibile, va bene quel che fa, è anche troppo…ma alla falsa immagine di Dio che porta dentro. E noi con lui, per non essere come i destinatari di questa parabola che Luca ben definisce…avevano intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.
Che il Signore ci doni l’umiltà di non presumere di noi e il desiderio di confidare in Lui.