Facciamo un pugno con la mano e guardiamolo: la medicina ci dice che il nostro cuore è grande così. Il motore della vita e dell’amore finché batte è questo, grande come un pugno.
Nei primi anni 2000 sono in seminario: i conti non mi tornano più, un periodo introverso, confuso, di crisi, manca poco ma non riesco più a guardare avanti con serenità. Un pomeriggio rientro in camera, inquieto e spaesato; sulla scrivania un biglietto, scritto a mano: “Dio è più grande del nostro cuore”. L’abbiamo sentito nella 2a lettura, le parole dell’apostolo Giovanni.
Me l’hanno lasciato due compagni di viaggio, dopo avermi percepito a lungo in difficoltà. Uno spiraglio di luce, un punto di vista diverso: Dio è più grande del nostro cuore.
Potrebbe sembrare una frase ovvia: si sa che Dio è grande, infinito onnipotente, eterno ma questo non ci aiuta molto ne sostiene.
Siamo abituati a dirlo nella liturgia, ci han sempre raccontato un Dio così, lassù tra le nuvole, distante, serio o peggio…indifferente ma questo non ci è mai concretamente servito a nulla.
Potrebbe sembrare una frase irritante, nello svalutarci, a noi che siamo abituati a sentirci quasi a posto, a gestire tutto, indaffarati e affannati, a tenerLo buono e fare tante cose cristiane per Lui e per la parrocchia…
A me sembra una frase bellissima, da cogliere nel senso che l’apostolo gli dà e nel suo contesto: sta invitando a non amare a parole ma con i fatti e nella verità; come quando Gesù ammoniva che «non chi dice Signore, Signore ma chi la fa volontà del Padre mio».
In quel periodo sentivo la mia vita, il mio cuore, troppo piccolo, angusto, meschino. Non mi andavo bene: stavo facendo il peggiore dei bilanci sulla mia vita: quello fatto da solo! sentendomi sbagliato, abusivo, insufficiente, incapace, non all’altezza. Vi succede mai? Vi siete sentiti o vi sentite così?
Dio non c’entrava niente: era un argomento da studiare nei libri, di cui discutere, per cui fare delle cose, un destinatario muto dei miei sforzi ma non aveva nulla da dirmi. Molti a volte, percepiscono la propria vita così: disillusi, tiepidi, rassegnati, in balia di sé stessi e dei propri bilanci fallimentari e asfittici. Vengo a messa ma poi, per il resto, che sapore ha la mia vita? dove sto andando? che c’entra Dio? Io faccio il mio, non si sta bene lo stesso, senza di Lui?
Ma Dio, ricorda la lettera di Gv, conosce ogni cosa: invita ad amare con i fatti, cioè fare la Sua volontà, ce la offre Gesù, avere il suo stile di vivere la fede nel Padre e le relazioni quotidiane con le sorelle e i fratelli. Questo ci smuove dentro.
Ci fa alzare la testa da noi stessi.
Nella verità: vivendo così ci sentiremo autenticamente umani e potremo rassicurare quel nostro cuore su chi siamo davvero, davanti a Dio. Come un orizzonte in cui collocare la propria vita, una consapevolezza diversa da assaporare..se il nostro cuore non ci rimprovera nulla, cioè se stiamo cercando di amare così…abbiamo fiducia in Dio. Un po’ come riconoscersi tralci di una vite più grande, per portare frutto. Un invito, pressante nel vangelo, a rimanere. Si, rimanere in questa prospettiva, in quei fatti e in quella verità: siamo tralci e Dio è più grande del nostro cuore, ci comprende, ci ama come siamo, accompagna e fa vivere. Così la sua grandezza non è umiliante ma indispensabile!
Gesù ricorda ai discepoli che nulla di ciò che ci è esterno, nella nostra realtà, è cattivo o impuro ma è il cuore dell’uomo a farlo tale, servendosene male o per un fine cattivo…nel nostro cuore abita un bisogno bello di amare, di prenderci cura, di contemplazione. Il Dio che Gesù ci annuncia sa trattare con delicatezza le cose piccole e preziose, come i germogli e i tralci,
i nostri cuori, soprattutto quelli sgualciti dalla vita, per permettere loro di portare più frutto possibile; e di non buttarsi via o marcire, facendo bilanci sbagliati, comunque provvisori.
La sua grandezza è a nostro favore. Sa di creatività e futuro.
Dio è più grande del nostro cuore: da allora queste parole per me hanno un sapore e una speranza speciali. Sono diventato prete assieme ai due amici che me le dedicarono. Ora siamo confratelli e cerchiamo, nella semplicità appassionata dei nostri ministeri pastorali, di continuare ad assicurarlo alla gente. E di viverlo.
Spesso mi pare sia l’unica cosa che vale davvero la pena di fare.