Dal roveto all’ultima cena…Omelia IIIa Quaresima C-’22

MI tolgo le scarpe e….

Un gesto quotidiano, famigliare, ti mette forse in imbarazzo, a nudo ma anche di casa e col rispetto del non sporcare. Mi è successo di togliermi le scarpe per entrare in qualche moschea o in alcuni templi in Oriente.

Togliti i sandali! si sente dire Mosè, in segno di rispetto; come il levarsi il cappello, alzarsi in piedi, abbassare la voce e fare silenzio; è tradizione del mondo arabo ma anche di altre religioni..quindi qualcosa che caratterizza l’essere umano…

I sandali=erano pezzi di cuoio…il cuoio è pelle cioè pezzo di animali morti. No…non in un luogo di vita.interessante. lì c’è vita…e non puoi entrare con addosso qualcosa di morto / e nemmeno come vuoi…come Mosè per controllare il roveto…vedere lo spettacolo, per curiosità, come le vetrine in centro…

Dio chiede a Mosè di rendersi conto di cosa sta facendo…spazio sacro..cimitero, luogo di culto, casa dove è appena morta una persona o qualcuno sta male, dove ci sia sofferenza o un problema o dove è appena nato qualcuno, fai piano, attenzione! non puoi andare, fare gestire, come vuoi..da padrone.. Senti che lì c’è un valore superiore, ed è legato al mistero della vita-morte, sofferenza-bellezza, di Dio o del male… di qualcosa insomma che non puoi capire comprendere con curiosità…ma innanzitutto accogliere, facendoti da parte.

Tutto questo aumenta in noi la percezione ed il desiderio del rispetto dovuto, ci si aiuta ed educa ad essere diversi, migliori, più attenti…più di quello che siamo…ci fa sentire piccoli, ospiti, eppure resi degni di accedere, conoscere…ma non di conquistare con la nostra testa ma di accogliere con la nostra vita e le nostre mani..come l’eucaristia…bellissimo..chiedo permesso…mentre entro…accolgo, porgo le mani non la testa.

Papa Francesco lo chiedeva per le relazioni, tempo fa, saper chiedere permesso… scusa, grazie, bravo….

Nella prima lettura Dio ricorda a Mosè e quindi a ciascuno che lui è relazione libera da vivere… non valori, norme o tradizioni da manipolare. E che siamo chiamati ad essere umili e disponibili a metterci in ascolto… Questo perchè Dio vuole che lo capiamo davvero.. vuole dirci Lui chi è..farci capire che è molto diverso da tutto quello che pensiamo. Quante idee sbagliate su Dio, tutte le volte che lo valutiamo come pensiamo noi, che crediamo ragioni come noi…: la tentazione di conoscere per gestire…e rassicurarsi.

Per questo, lo accennavamo domenica scorsa, il suo biglietto da visita, curriculum con Mosè per farsi riconoscere è dirgli !io sono il Dio di tuo padre, Dio di Abramo di Isacco di Giacobbe..un Dio delle relazioni, della storia, della vita condivisa e dell’alleanza fatta. Mosè è aiutato a fare memoria di un volto di Dio amico, attento e premuroso, che ha già dimostrato chi è e a cosa tenga.

Quando entriamo in chiesa noi non ci togliamo le scarpe ma facciamo memoria del nostro battesimo toccando l’acqua santa, di un Dio Padre, Figlio e Spirito Santo che dopo Abramo Isacco e Giacobbe ha fatto alleanza in Gesù nel battesimo anche con me.

Quando entriamo in chiesa ci sentiamo in un posto di vita? in un luogo in cui la nostra vita viene presa sul serio, accolta e valorizzata? E che uscendo ci chiede di fare altrettanto per la vita degli altri? fosse anche parlando di Dio in modo diverso, come chiede Gesù nel vangelo. Giobbe, alla fine del suo libro e della sua vita, ammetterà con Dio di averlo fino a quel momento conosciuto solo per sentito dire… bellissimo…ma aggiunge: ora i miei occhi ti hanno veduto. Cioè ho fatto esperienza di te. Di quello che mi offri. 

La quaresima, comunque vada, ci porterà al giovedì santo. E le scarpe saremo chiamati a toglierle tutti, per lasciarci lavare i piedi, cioè accogliere e servire da Cristo stesso che si metterà davanti a noi, in ascolto e a nostra disposizione. Un roveto d’amore che continua a bruciare per scaldare, illuminare e accompagnare la nostra esistenza dare qualità alla nostra vita.

   …Lasciamoglielo fare questa settimana… grazie

Luna, stelle e promesse…Omelia IIa Quar. -C ’22

Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?

Leopardi in questo suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” ci offre la riflessione amara di quest’uomo provocato dall’austera solitudine della luna che sente la propria vita avvolta dal pessimismo e dall’inquietudine, avendo perso orizzonti di senso che gli diano pace e speranza. Forse anche noi a volte ci siamo sentiti così, magari davanti ad un crocifisso muto o nel silenzio di una chiesa inutile o nel nostro cuore sentendoci traditi da un dio per sentito dire…

Ben altro invece le stelle significano per Abramo nella 1a lettura, Genesi: Dio Padre le usa per indicargli una promessa. Non riuscirai a contarle…così come la tua discendenza. Noi siamo tutti figli di Abramo, assieme ai nostri fratelli maggiori ebrei e ai fratelli e sorelle musulmane. Figli di una promessa che non riesci a comprendere (non puoi contare le stelle) ma che ti fa guardare lontano, promessa di vita e storia, di futuro e speranza. Si fonda su una relazione e Lui ha preso l’iniziativa: Io sono il Signore che ho fatto e faccio storia, strada con te. Lo dirà mille altre volte, il Dio di Abramo Isacco e Giacobbe..con cui essere in rapporto, di cui avere sempre memoria. E come testimoniarlo? Ecco l’immagine di quel fuoco passa in mezzo agli animali squarciati, ci vediamo la nostra vita, un Dio che vuole stare in mezzo alle situazioni in cui abbiamo bisogno della sua luce e della sua presenza, li dove siamo feriti e smarriti. Allora pur se a volte ci sentiamo come quel pastore, siamo chiamati a contemplare un Padre che vuole continuamente essere nostro alleato, prendere l’iniziativa di scuoterci dai nostri torpori e riti narcotici, come nella genesi dove dona la terra e discendenza, cioè vita. È la stessa alleanza che rinnoviamo nella messa, che Gesù ha definitivamente sancito garantendoci con la sua morte e risurrezione la sua presenza promettente tra noi e in noi mediante lo spirito santo. Lo dicevamo domenica scorsa. Ai Filippesi, Paolo ricorda come questa alleanza troverà compimento in cielo, la nostra cittadinanza o patria. Siamo fatti per quello. Qui siamo solo di passaggio, pur nella pienezza che solo qui possiamo vivere e gustare quanto ci viene promesso. Gesù l’anticipa e fa pregustare ai tre discepoli fidati che lo accompagnano sul monte. Pietro, Giacomo e Giovanni dormono sereni, Pietro se ne esce col desiderio di trattenere, ma contemplano un Dio che si compiace di quel suo figlio, dallo stile per quel tempo eretico e rivoluzionario, che parla di misericordia e non di meriti, di amore e non di morale, di perdono e mai di colpa.

Nel 18° sec. il filosofo tedesco Kant dice una delle sue espressioni fondamentali: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me». Noi per fortuna abbiamo un cielo stellato che ci ricorda promesse e memoria, e in noi non una legge morale che rende soldatini del galateo religioso ma una presenza alleata. Essa ci parla, ci indica il meglio per noi possibile, ci sussurra continuamente che tutto quel che viviamo, anche questa quaresima, ha sullo sfondo una promessa, di relazione, alleanza, storia. Non siamo soli e affranti come quel pastore. La promessa di Abramo, compiuta dal figlio trasfigurato ci ricorda il credito che sempre Dio Padre ci offre: credito di vita, verità, pienezza, libertà da recriminare, da assaggiare, di cui essere portatori di diritto e non spettatori muti. Da pretendere non da temere. A cui restare saldi, come Paolo chiede con forza ai Filippesi.

È bello per noi stare qui, dirà forse goffamente ma in buona fede Pietro. Abbiamo mai avvertito in noi, pur velocemente ma con certezza…che è bello per noi essere cristiani? Abbiamo nella nostra storia di vita cristiana una memoria buona che mi fa dire..ne vale la pena? Chiediamo al Padre la grazia di tale consapevolezza, un’esperienza viva dell’alleanza con Lui che ci faccia non solo passare la luna come un umore nero, di un cristianesimo solo da quaresima e funerale ma vedere le stelle, che da sempre danno direzione e futuro a chi vi si affidi, mentre ci ricordano della promessa di Dio per ciascuno di noi.