“Presentazione del Signore” A-2020

 

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In ascolto del Santo Vangelo secondo Luca 2, 22-40

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazioned’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto lamorte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre igenitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli loaccolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace,secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti ipopoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele».

Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».

C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Qualche stuzzichino… per gradire: brano lungo, intenso, molto descrittivo. Gesù è “attore non protagonista”. La sua vita viene presentata già come un programma di vita, per certi versi. Allora i suoi genitori, poveri in canna, fanno quasi tenerezza nell’adempiere, a 40 giorni dalla nascita (per noi 40 giorni dopo Natale), la tradizione ebraica dell’offerta per il figlio primogenito. Stanno dicendo che quel figlio è un dono di Dio. In loro potremmo chiederci se anche noi in questi 40 giorni abbiamo sentito la nostra vita come “oggetto” di quel dono. Dio ci dona suo figlio e noi siamo destinatari di un dono immenso. La nostra fede parte da qui?

Inoltre le parole del vecchio Simeone e poi Anna. Dio ha mantenuto le sue promesse. Che bello, possono ritirarsi. Hanno fatto quel che dovevano. Affascinante questa prospettiva: Dio mantiene le sue promesse, non esaudisce le nostre preghiere (Bonhoeffer). La nostra fede ha una componente di attesa? la consapevolezza di un “gap”… umano, fatto di ricerca, distanza, approssimazione ma quindi fiducia e sequela?

Infine questa domenica si celebra da noi la famosa “candelora”. Siamo “fora” dall’inverno? o siamo solo “fora” strada in tante cose della nostra vita? Secosì fosse, nessuna paura, quella candela è direzione, luce e responsabilità, dono e speranza di pace e cammino fiducioso. Ciascuno di noi ha ricevuto quella luce nel proprio cuore. La luce è in noi, custodiamola nell’ascolto, non cerchiamola in flebili bagliori o effervescenti fuochi d’artificioso rumorosi ma invadenti. Siamo già stati salvati e illuminati…proviamo a scegliere di far brillare quel figlio in ciascuno di noi.

Mandami il tuo curriculum… Omelia IIIa t.o. A-2020

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Natale e incarnazione presepio bambino-fatto, 30 anni di lavoro anonimo immerso a Nazareth-fatto, battesimo-fatto, inizia o no la missione: del resto, son venuto per questo! Dunque…”convertitevi perché il regno è vicino.“Cambiate stile di vita. Interessante. il “salvatore”, deve salvarci.. “sono venuto perché abbiano la vita in abbondanza”..Gv., “sono la luce del mondo, la via la verità e la vita”, ci ricorda… bravo, e quindi? questo inizio che Matteo descrive ci dice 2 cose importanti:

1a) Non ha detto “desso son qua mi e me rangio, fasso UTO mi…” no. La chiesa nasce da qui e la comunione tra i battezzati è il primo biglietto da visita che le dà identità e credibilità. “Se sarete uniti vi riconosceranno”. Noi invece come nella 2a lettura vorremmo sempre dividerci ad ogni occasione: noi siamo di Paderno, noi di Merlengo, io faccio gruppo da sola, lui si arrangia, ognuno per sé e Dio per tutti, facile. Addio comunione, importante è fare a modo mio. Addio chiesa. Importante è la mia prestazione…o così o niente. Come venire a comunicarci però all’unico pane spezzato per noi? Se poi non ci interessa vivere in comunione che fa rima concretamente con collaborazione?

2a) E dove fa a prendere gli aiutanti?  in chiesa tra i devoti molto religiosi…no; in parrocchia tra i preti e gli impegnatissimi delle mille iniziative di aggregazione sociale…no! in seminario o nelle facoltà di teologia, bibbia, liturgia…no! nei santuari …no, nelle migliori aziende che selezionano esperti di comunicazione, strategie di marketing, esperti di PNL e problem solving..no, Né meriti né competenze, intanto. Sto insulso.

Ha iniziato a camminare in riva al mare e ha chiamato gente che stava lavorando, con famiglia a casa e preoccupazioni a carico. Questo ci dice il vangelo. Tutti gli apostoli, i 12, i primi convocati…sono dei lavoratori. E’ la loro vita non la loro religiosità ad interessare a Gesù. Ci abbiamo mai pensato? non sono puri, perfetti, nemmeno credibili (alcuni di essi, poi…) ma la loro umanità è lo strumento che Gesù sceglie.

Noi rischiamo da decenni di vivere il contrario. Siamo cristiani nella misura in cui si viene sempre in parrocchia a far tante riunioni, ciascuno per conto proprio, poi la messa, qualche altra performance…ma chi di noi sente di essere chiamato ad essere cristiano nel luogo di lavoro? Ad essere cioè differente…rispetto magari alla media. cioè dal lunedì al sabato, con quei colleghi, quel ritmo, quell’ansia e preoccupazioni, quelle mansioni e quei capoufficio. Lì siamo chiamati a far vivere una differenza cristiana. Una potenza di amore che solo il vangelo ci indica, lo Spirito Santo ci comunica e la risurrezione ci offre.

Allora la parrocchia sarà sempre meno palcoscenico ma più palestra, anzi autogrill, in cui accostare per fare il pieno e ripartire a vivere nel mondo, lavoro, famiglia, strada, lì dove il Signore ci invita a offrire la qualità di vita cristiana…provocando col nostro stile le persone a dire..ma come fai a viver così? profumo di vita

La domenica della Parola, che da oggi celebriamo nel mondo, voluta da Papa Francesco ci ricorda proprio questo. Da anni ascoltiamo ogni domenica almeno 3-4 pagine della Bibbia. Ci viene annunciato un preciso volto di Dio per noi; siamo chiamati a risciacquare di continuo la nostra percezione di lui e della fede dentro il vangelo, buona notizia di vita. Ci provochi, consoli, illumini. Quella salvezza che il Signore Gesù è venuto a portare passa anche attraverso la Parola che rivolge per convertire la nostra vita (1) e siamo chiamati ad accogliere come comunità. Non ci salviamo da soli, non serve essere individualisti, ma siamo affidati gli uni agli altri. La nostra umanità concreta è unico strumento che abbiamo per amare, manifestare di essere Suoi figli e vivere tra noi. Ecco la comunione della chiesa, il termometro della nostra fede, la luce che in un mondo solitario e individualista, possiamo ancora far brillare.

Che fai dopo lo scambio di pace? Omelia IIa to A-’20

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Polittico quattrocentesco dell’Agnello mistico dipinto dai fratelli Jan e Hubert Van Eyck.

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“Pace sia pace a voi la mia pace sarà nella terra come nei cieliii..”

“Nel Signore, io ti do la pace, pace a te…nel Suo nome resteremo uniti, pace a te…ecc.”

Canzoni allegre, vivaci, in genere poi seguite da un lugubre “Agnello di Dio”, quasi sbuffando, inevitabile.. “ma bisogna proprio farlo? C’è un così bel clima e questo rovina tutto…” 

Già, vediamo però di capirci meglio: la liturgia ci chiede come di rivivere il gesto che GvBattista compie nel vangelo. Lo indica. Anche il sacerdote sollevando l’ostia consacrata lo mostra e noi siamo chiamati a contemplarlo, (spesso invece siamo persi ancora a darci la pace, salutarci o a piegare il foglietto) e ripetere che quello lì è davvero per noi, il corpo di Cristo e come il Battista tre volte gli diciamo guardandolo “tu sei l’agnello di Dio”. In quel momento stiamo “dando del tu” a Gesù Cristo, lì spezzato per noi, stiamo parlando con l’eucaristia, col santissimo…altro che darsi la mano! Ce ne rendiamo conto? Questo ci serve a rinnovare la coscienza del gesto che si sta per compiere, del dono da ricevere e accogliere, dell’Amen (è così!) che siamo chiamati a dire.

Ci sono almeno due allusioni precise:

    1) L’evangelista ben conosce il profeta Isaia che parla del messia come agnello mite, condotto al macello, che portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori; il Battista allora sta dicendo che Gesù si farà carico di tutte le miserie, colpe, i peccati delle persone con la sua mitezza…non eliminerà il male, nessuna amnistia, ma lo vincerà introducendo nel mondo una forza diversa, un nuovo dinamismo, la potenza del Suo Spirito, per scegliere liberamente e nella verità una vita piena, per il meglio di sé. 

 La logica del granello di senape, del lievito, della fedeltà al poco possibile qui e ora, toglierà al peccato la possibilità di attecchire.    

    Ad esempio: sapete che faccio dei miracoli? Quando entro in un locale pubblico o incontro delle persone riesco spesso a trasformare il modo di parlare di alcuni; ad esempio quando la parola cane diventa per miracolo caro. E’ solo la mia presenza a far accadere, non sempre, questo prodigio.     Solo una persona diversa dà al “branco” una coscienza diversa di sé. Sarà successo anche a voi, me lo raccontate, quando in spogliatoio, al lavoro o tra amici, uno si distingue magari perché vorrebbe evitare meschinità, chiacchiere malevole, richiamare il tono dei discorsi, non bestemmiare o parlare di persone come di oggetti…è solo quella vostra presenza, (perché vi riconoscono come cristiani, sempre in parrocchia o de ciesa) uno stile alternativo alla media, che fa sentire gli altri come in dovere di scusarsi, giustificarsi o prendere le distanze!  Solo un agnello fa sentire bestie, lupi, gli altri, nel branco, in preda di discorsi o atteggiamenti che li stanno disumanizzando; quella presenza alternativa provoca qualcuno a chiedersi “ma cosa stiamo facendo?”la salvezza, l’umanizzazione, iniziano così. Ecco la nostra fede: quell’agnello di Dio ci parla di noi, chiamati a far percepire una differenza cristiana di vita.  

    2) È l’agnello pasquale, quello che Mosè ordinò al popolo di mangiare la notte di Pasqua, per avere la forza di mettersi in cammino verso la liberazione dalla schiavitù in Egitto e il cui sangue, sugli stipiti delle porte, avrebbe salvato gli ebrei della morte. Quindi Giovanni vede in Gesù l’agnello di Dio, la cui carne darà la capacità e la forza di iniziare il cammino di verità verso la liberazione, e il sangue, che non salverà dalla morte fisica, ma da quella definitiva. Consentirà a chi lo accoglie una qualità di vita in grado di superare la morte. In genere la chiamiamo “eucaristia” e per questo veniamo a fare la comunione con quel corpo: per riconoscere che ciò di cui ci stiamo per nutrire è Cristo e che ne abbiamo bisogno per restare o diventare ancora più umani.

 La messa ci invita ad assimilare quanto stiamo celebrando. Partendo da quello che siamo, non da come dovremmo essere o dimostrare, mangiamo quell’agnello per assimilarne lo stile di vita e diventare come lui, avere il suo sguardo sulla realtà, la sua potenza di amore, scegliere di innovare la nostra vita nella giustizia, nella misericordia, l’impegno, il dialogo, riconoscerlo come la verità di ciò che siamo. Questo stile fa crescere il regno di Dio e toglie il peccato del mondo. C’è infatti un peccato che precede la venuta di Gesù e rappresenta un ostacolo alla comunicazione tra Dio e l’umanità. É una mentalità al ribasso, indifferente, che basta sempre a sé stessa: il rifiuto dell’offerta di pienezza di vita che Dio ci offre, la sua salvezza, ed è causato dall’adesione a un sistema ideologico, religioso sempre contrario alla volontà di Dio padre buono per noi suoi figli.

   Ci viene infine detto di fronte a questo agnello, di essere beati perché “invitati a questa cena” e così possiamo tutti, primo chi vi parla, dire l’unica cosa importante anzi fondamentale da riconoscere, rubando le parole al centurione romano mentre guarda Gesù stupito e bisognoso..

O Signore, io non sono degno di partecipare alla tua mensa ma dì soltanto una parola ed io sarò salvato.

Sia questo il primo segno di pace da accogliere dentro di noi.