IIIa di Quaresima – Anno C

“Il mondo si convertirà grazie ai cristiani che portano la croce nell’intimo della vita e non al collo.”
(S. Alberto Hurtado, gesuita, Cile)

Unknown

Ricordo che sono molto graditi commenti sulla Parola ascoltata: mi permetteranno un ascolto sinfonico della stessa per preparare un’omelia più aderente alla realtà! Cerca di crearti un attimo di silenzio per preparare il cuore…per lasciarti incontrare da Gesù.
INVOCA LO SPIRITO SANTO perchè sia Lui ad aiutarti a sintonizzarti con la Parola.
Altrimenti sarà come leggere dei bei fumetti…
Prova a ripetere a mente alcune volte l’invocazione allo Spirito Santo
“Vieni Santo Spirito…prega in me”
Leggi almeno un paio di volte il brano e chiediti alla fine cosa ti colpisca,
quale volto di Gesù ti offra, come tocchi la tua vita…come questo messaggio possa diventare attuale nella tua esistenza..come appello, impegno, speranza, conforto..

Lettura dal Vangelo di Luca 13, 1-9
In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”

Il contesto di questo brano aiuterebbe a comprenderlo ovviamente meglio.
Non solo dal punto di vista culturale ma anche cronologico. I fatti riportati a Gesù sono molto gravi e hanno turbato e di molto il clima già teso contro i romani
invasori. Ma cerchiamo di andare un attimo oltre e di capire di cosa trattino questi versetti e soprattutto quale volto di Cristo possano rendere per noi ora, attuale, vivo.
Nella prima parte sto Gesù è indigesto.. il brano non è facile ma..
gli chiedono conto del male accaduto ai Galilei ammazzati gratuitamente da P. Pilato. Cercano non solo un riscontro ma di sentire da lui anche parole di sdegno, di ira contro lo scandalo, cercano un messia che faccia giustizia e guidi il popolo oppresso alla rivolta contro lo strapotere romano.
Vogliono un messia forte, glorioso, vincente. Ma nemmeno troppo tra le righe emerge anche l’idea che ci debba essere un castigo che “premia” i peccatori, una giustizia retributiva, una giusta punizione. Ancora il volto di un Dio che castighi e punisca.
Gesù rincara la dose citando un secondo fatto di cronaca: non più una violenza scatenata da una persona (come oggi potrebbe essere un omicidio o un incidente in auto o un fatto grave.. ) ma una tragica fatalità…il crollo della torre.
Gesù sembra eludere il problema con le sue risposte e forse un po’ ci disturba.
Il suo richiamo alla conversione è l’invito ad un cambio di mentalità, modo di pensare. A non covare sentimenti di vendetta, di odio, di rancore, trovando in Dio o colui che si mette dalla nostra parte contro di loro (come se Dio potesse schierarsi contro qualcuno) o un capro espiatorio.

Il discorso è molto delicato. Gesù non era certo contro una normale e doverosa giustizia ma ci chiede una conversione del cuore che metta ordine nelle nostre idee su Dio, sul castigo, sulla colpa, sulla vendetta, sulla punizione divina ecc. ecc.

E del fico che dire? il figlio di Dio.. si fa.. come dire.. portavoce attraverso questa parabola di un volto umano di Dio. Paziente ad oltranza.
La nostra vita non deve essere un culto vuoto, un gorgoglìo di belle parole religiose ma portare frutti di carità. Non ne trova in noi? pazienza.. concime, zappa..
eterna fiducia nella capacità dell’uomo di rendere il bene, di cambiare mentalità, di trasformare la propria esistenza in un dono.

“Solo la bellezza salverà il mondo..” – Omelia IIa Domenica di Quaresima – Anno C

Questa è sempre una pagina tanto bella quanto strana. Da contemplare più che capire.
Strana perchè facciamo un po’ fatica a comprendere cosa sia successo: Gesù in disparte con i discepoli prediletti, le vesti ed il volto che cambiano di aspetto, le apparizioni.. e poi Luca mica era presente. Chissà cosa gli hanno davvero raccontato. Che sfacciato poi, a ricordare che San Pietro, a cui Cristo darà potere di fondare la sua chiesa, si senta dire “non sapeva quello che diceva!”. Oppure che nel bel mezzo di una apparizione.. loro prendano sonno! Vediamo di mettere un po’ d’ordine..
Siamo al cap. 9 di Luca e se potessimo avere sotto mano il suo vangelo capiremmo quando avviene questo fatto della trasfigurazione oggi descritto. Gesù é salito sul monte a pregare perchè in crisi.
E’ interessante: nemmeno lui era nato “imparato” cioè non sapeva come fare a vivere da messia.. come si sarebbe svolta la sua vita ne il suo destino. La vive e lo scopre giorno per giorno. Pregava molto per questo. Ed é in uno di questi momenti di intensa confidenza col Padre che si rende conto di essere chiamato a salvare le persone non mediante il trionfo ma con la sconfitta. Quasi da subito conobbe l’incomprensione, il dissenso, l’insuccesso. I vangeli sono molto espliciti nel riportarlo. L’entusiasmo iniziale nei suoi confronti, verso i miracoli.. durano relativamente poco: chi lo considera un sovversivo, chi un esaltato.. si inizia a tramare per ucciderlo. E’ dentro questa profonda crisi di identità e senso di sè che é collocata questa pagina.
Compaiono Mosè ed Elia: essi sono il simbolo della legge e dei profeti, rappresentano cioè tutto l’Antico Testamento. Tutti i libri sacri di Israele hanno lo scopo di portarci a dialogare con Gesù, orientano a Lui.
Senza Gesù tutto l’Antico Testamento é incomprensibile..come pure la vita e la missione di Gesù senza l’Antico Testamento rimane un mistero.
Ricordate la pagina di Emmaus dopo la risurrezione? Per far capire ai discepoli il senso della sua morte e il significato della sua risurrezione ricorrerà all’Antico Testamento. “Cominciando da Mosè e dai profeti cominciò a spiegare loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a Lui”.
Essi, dice Luca, parlavano del suo esodo..cioè del suo passaggio da questo mondo al Padre. Ecco da dove é venuta a Gesù la luce che gli ha svelato la sua missione: dalla parola di Dio dell’Antico Testamento.
E’ li che ha scoperto che come messia non era destinato al trionfo ma alla sconfitta. Che non avrebbe camminato nella gloria, con potere e successo, ma nel servizio e nella testimonianza umile e silenziosa di sè e del suo stile d’amore. Che avrebbe lavato i piedi non vinto..
Questa intuizione deve essere stata molto scomoda. I discepoli dormono. Sono gli stessi che nel getsemani faranno lo stesso. Quanto il tema insomma é la passione e la morte loro dormono. Nella Bibbia spesso il sonno sta a significare il torpore spirituale, cioè la fatica a comprendere e soprattutto ad affidarsi, accogliendo uno stile di vangelo che non vorremmo. Noi siamo quelli che preferirebbero un messia forte, una chiesa vincente non un messia in croce e una chiesa snobbata e irrisa da tutti. Eppure..
Allora da queste sottolineature possiamo comprendere alcune cose interessanti:
la preghiera, cioè il dialogo e il confronto fiducioso col Padre aiutano Gesù a capire come vivere. Anche noi siamo chiamati ad imitarlo confidando nel Padre sull’affidargli ciò che accade in noi e attorno a noi.
E poi? Gesù si confronta per certi versi con l’Antico Testamento, abbiamo detto, cioè con la scrittura. E’ una indicazione precisa anche per noi: possiamo pregare e ascoltare ciò che Dio abbia da dire alla nostra vita proprio a partire dalla Parola. Mettermi a pregare con il vangelo in mano é permettere a Dio di rispondermi proprio a partire da un brano del vangelo in cui io possa cogliere la sua voce per me. Questo é un grande dono. Ce lo ricordava anche don Firmino questa settimana alla 3 sere parlando del concilio e della possibilità grande di accedere e conoscere bene la Bibbia.

Questa pagina insomma é strana ma come dicevo è anche bella: proprio per quell’espressione naturale, spontanea, fanciullesca con cui Pietro stesso se ne esce: “E’ bello per noi stare qui”.
Non era successo niente eppure era accaduto tutto. Avevano sonno, non capivano, ma avevano sentito che qualcosa in loro era cambiato. Avevano iniziato a godere come di un privilegio.
Vedono una manifestazione particolare del volto di Gesù, della sua vita. Ne restano stupiti. Non sapevano cosa Gesù avesse intuito della sua vita e quindi della loro ma si fidano.
E’ bello! pensate a quante volte ricorriamo a questa parola per dire qualsiasi cosa. Com’è povero il nostro vocabolario..
è bello un luogo, bello un film, una donna, un uomo, un cd, un libro, il tempo, un panorama, un paio di pantaloni..
Tutto è bello. Come non avessimo altri sinonimi da usare o termini più appropriati da usare.
Eppure è significativo: siamo impastati di bellezza. Per noi, dal profondo, tutto deve essere bello.
Come non ricordare il principe Myskin che ne “L’idiota” di Dostoevskij pronuncia la famosa frase che.. “solo la bellezza salverà il mondo..” tutto ciò che è bello.. da un dettaglio, un gesto, un atteggiamento.. per salvarci dall’imbarbarimento..
La bellezza ci educa, ci raffina, ci migliora, ci eleva, ci purifica e libera: i discepoli e noi con loro, pur non avendo compreso ne condiviso tutto si fidano di Gesù. E’ la storia reale e concreta di un popolo di Dio e siamo noi, in cammino. Senza per forza aver tutto chiaro o aver condiviso e apprezzato uno stile. E’ il costo di una fiducia in un padre che vede più in la di noi, che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi, é il rispondere con la propria vita a qualcosa che é già in noi, come un dono d’amore. Che si risveglia mettendolo in pratica, come il servizio e la carità di Gesù, come un amore che assapori solo se lo sprechi, una risurrezione e una vita nuove che passano per forza per la croce e la morte. Allora vale la pena vivere la quaresima, allora vale la pena sognare, allora vale la pena essere cristiani e dire che é bello per noi stare qui.

Il padre misericordioso – Rembrandt, pittore fiammingo, 1666

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Museo Hermitage – S. Pietroburgo

Il quadro si ispira alla parabola del padre misericordioso (Luca 15,11-32).
Dipinto da Rembrandt nel 1666 circa pochi anni prima della sua morte (avvenuta nel 1669). La storia biografica di Rembrandt lo ha reso capace di conferire al dipinto la sua espressività davvero unica.
Il dipinto si trova a San Pietroburgo (Russia) al museo dell’Hermitage.
La scena raffigura la conclusione della parabola, ovvero il perdono del padre nei confronti del figlio pentito della propria condotta.
La luce si sofferma sulla scena principale e cattura così l’attenzione dell’osservatore, che si trova con gli occhi alla stessa altezza del figlio pentito, come se il pittore volesse suggerire un’identificazione tra il personaggio del quadro e l’osservatore.

I personaggi:

1)  Il figlio più giovane: vestito di stracci logori, è in ginocchio dinanzi al padre, di cui ha sperperato le sostanze. Aveva chiesto la sua eredità (= morte!).
Il vestito è il segno della sua vita: strappata, lacerata. Il colore giallo-marrone è segno di miseria. Le cicatrici sono il segno delle umiliazioni sconfitte.
I piedi rivelano un viaggio umiliante: il piede sinistro è scalzo e con cicatrici (simbolo di povertà e delle sofferenze patite), il destro con mezzo sandalo logoro, ultimo brandello della sua dignità (per molto tempo le scarpe sono state simbolo di ricchezza).
Resta una sola cosa: la spada appesa al fianco (ultimo segno, pallido, della sua nobiltà, e della sua dignità di figlio).
La testa è rasata: indice di prigionia, l’essere senza una libertà (questo figlio inseguiva la libertà e si trova schiavo, privo di identità). Ma anche evoca la testa di un bambino neonato: infatti, é inginocchiato, in atteggiamento penitente (cf. «Padre ho peccato»), ma appoggia il suo capo nel «grembo del padre», nel grembo della sua misericordia, per una nuova nascita. Sarà infatti rivestito dal padre.

2) Sulla destra, un personaggio identificato col figlio maggiore.
Atteggiamento eretto, impassibile, sembra una colonna, disegnato così, stabile, certo, ma duro, con un bastone stretto fra le mani. Luce gelida. Vuoto, distanza.
(Vediamo in dettaglio le mani, il capo e il suo sguardo.)

3) Sullo sfondo si distinguono due figure anonime, non ben identificate, più o meno indiffenti, scettiche, chiaccherone, probabilmente servi o persone di casa, che ben conoscevano i fatti, le sofferenze, le dinamiche interne e ora commentano. Chissà cosa pensano..

4) Il padre, anziano accoglie il figlio con un gesto amorevole e quasi protettivo.

Particolari del padre: (é già fuori di casa ad attendere!)

a) Gli OCCHI del Padre: sono gli occhi di un cieco. Il Padre ha consumato i suoi occhi a forza di scrutare l’orizzonte in attesa del ritorno del figlio. E resi ciechi dalla lacrime; questi occhi hanno versato tante lacrime in attesa del figlio.
«Negli ultimi anni della sua vita, dopo essere stato molto provato, nell’ambito della famiglia (ha perso la moglie e dei figli) e del lavoro, – scrive Nouwen – Rembrandt comincia a dipingere persone cieche come se fossero i ciechi i veri vedenti. […] Proprio quando la sua esistenza si avvia verso le ombre della vecchiaia, quando il successo svanisce e gli splendori esteriori della sua vita impallidiscono, il pittore entra più a contatto con l’immensa bellezza della vita interiore. Qui scopre la luce che emana da un fuoco interiore che mai non muore: il fuoco dell’amore.

b) Il MANTELLO del padre, rosso, sembra voler ricopre il figlio di misericordia

c) Il vero centro del dipinto di Rembrandt è costituito dalle MANI del padre. Su di esse si concentra tutta la luce; in esse si incarna la misericordia.

  • Non sono uguali, ma sono una maschile (robusta, forte, muscolosa, che protegge, difende) ed una femminile (tenera, delicata, che accarezza). Attraverso le mani Rembrandt vuole comunicare il volto paterno e materno di Dio. Dio Padre e Dio Madre.
  • Le mani che toccano le spalle del figlio sono gli strumenti dell’occhio interiore del padre. «Il tatto sostituisce la vista». Attraverso queste mani il padre afferma di «vedere»: vede lo smarrimento di donne e uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, sente compassione per la sofferenza di coloro che hanno scelto di andarsene da casa.
  • Corrispondenza «mani del padre / piedi del figlio»: la mano destra del padre (mano femminile) corrisponde al piede sinistro del figlio, quello scalzo. La mano delicata e tenera si prende cura delle ferite, protegge la parte più vulnerabile. La mano sx del padre (mano maschile) corrisponde al piede dx del figlio, quello con mezzo sandalo: è la mano che sorregge, scuote, infonde fiducia sulla possibilità di riprendere il cammino.
  • Il cuore del padre arde dal desiderio di riportare a casa i suoi figli. Ma il suo amore è troppo grande per comportarsi così. Non può forzare, costringere, spingere o trattenere. Questo Padre offre la libertà di rifiutare o ricambiare tale amore. Le sue mani non trattengono: accolgono, benedicono: In latino, benedire è benedicere, che letteralmente significa: dire  cose buone. Il Padre vuole dire, più col tocco che con la voce, buone cose dei suoi figli. Non desidera affatto punirli.

Sono stati già troppo puniti dalla loro caparbietà interiore o esteriore. Il Padre vuole semplicemente far loro capire che l’amore che hanno cercato in vie così distorte, è stato, è e sarà sempre li per loro.
Il Padre dall’inizio della creazione ha steso le sue braccia in una benedizione misericordiosa, non-forzando mai nessuno, ma aspettando sempre; non lasciando mai cadere le braccia per la disperazione, ma sperando sempre che i figli tornino per poter dire loro parole d’amore e lasciare che le sue braccia stanche si posino sulle loro spalle.