XVIIa t.o. 2019-C

 

Unknown

Tempo lettura previsto: 5 minuti

In ascolto del Santo Vangelo secondo Luca 11, 1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:

Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”, e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto,non posso alzarmi perdarti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

C’è anche troppa roba oggi in questo vangelo e per questo caldo: mi fermo su un fermo utile ed evocativo: “insegnaci”. I discepoli mica non sapevano pregare. Erano mediamente tutti buoni ebrei devoti e pii, dediti al tempio, ai riti, alle abluzioni e tradizioni, come ogni buon ebreo del tempo. Eppure chiedono a Gesù di insegnare loro a pregare.

Due cose: 1) devono aver notato che il modo in cui Lui pregava, lo lasciava diverso. Forse, che ne so, più sereno, mite, in pace, ristorato, libero, sveglio.

2) devono aver colto, dopo questa sorta di “santa invidia” che oltre che essere promettente e seducente…quello stile va insegnato.

Insegnare vuol dire che ti vuoi mettere in relazione con chi ne sa più di te, che non vuoi più sentirti arrivato o a posto, abituato o esperto. Questo insegnami vorrei diventasse un mantra della mia vita spirituale, in modo da restare sempre connesso con la Sorgente per poter continuamente scaricare gli aggiornamenti e gli antivirus ed essere più appassionato alla novità della buona notizia che rassicurato dalle mie ormai solite quattro certezze.

Insegnami dice a mio avviso una sana e bella inquietudine, desiderio, passione, nulla per certo o assodato o scontato… ma “ti voglio rompere le scatole”, voglio fare esperienza, sentire che ne vale la pena, non mi basta quel che già so o vivo…. son curioso, vorace..

bello……… davvero…..

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Perché faccio tutte queste “cose”? Omelia XVIa t.o. 2019-C

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Gesù richiama Marta alle giuste priorità. Marta e Maria non sono in contrapposizione; sono complementari, con quel che rappresentano, due polmoni. Non affannatevi sentendo che dipende tutto da voi e che dovete fare tutto voi…Maria si è scelta letteralmente la parte “buona” non migliore. Buona perché Maria è saggia e ha capito come impostare bene le cose, su cosa, partendo dall’ascolto. es. “con la grazia di Cristo..”, dicono gli sposi novelli felici, saremo genitori cristiani oggi che chiediamo il battesimo ma come fai poi a vivere questo desiderio-impegno se non Lo ascolti mai? Se non ti crei le condizioni per vivere così, per mettere un po’ al centro la Sua Parola, se non dai la priorità all’ascolto come cristiano. Ma che significa per noi, ascoltare Dio?

Torniamo al vangelo: l’immagine che l’evangelista ci dà di Maria, seduta ai piedi del Signore, va compresa bene e non banalmente…

come quelli che vorrebbero mandare in missione tutte le suore di clausura…! Il suo atteggiamento è di ascolto, di chi riconosce da dove partire e da chi ha bisogno di imparare a vivere. Dio cerca le persone non quello che fanno. Ama noi, non i nostri meriti e affanni, fossero anche pastorali. Ma lo riconosciamo? glielo permettiamo?  o siamo perfino indaffarati per questo?

Essere cristiani innanzitutto è vivere in questa relazione di ascolto, scegliere di non avere sempre e solo il monopolio di me, decido io, so io, faccio io, scelgo io. Ma riconoscersi creatura, sentire che Dio ha qualcosa di bello da dirmi, se lo ascolto, che nella mia coscienza Lui sussurra il meglio per me, che forse Lui vede più in là di me. Che non siamo chiamati a dirgli Padre nostro e basta se poi viviamo da bambini capricciosi. Significa vivere come Maria, trasformando la nostra preghiera da elenco di cose da fargli fare, da ripetizione a memoria di filastrocche…a un mettersi davanti a Lui e percepirsi alla sua presenza. Se ci pensiamo di fatto Marta…non incontra Gesù né gli permette di raggiungerla.

Non è sbagliato il curare l’accoglienza e l’ospitalità, che Gesù non condanna certo e di cui la prima lettura ci offre una pagina magistrale…ma è sbagliato il modo in cui lo fa, dice il vangelo che è “distolta” cioè appunto non riconosce né priorità né misure giuste. Lei è un po’ “fasso tutto mi”…ma in realtà la fede inizia per noi quando lasciamo sia Lui a fare qualcosa per noi.

Vogliamo vivere in ascolto o sentirci bravi perché indaffarati a dimostrare in calorie il nostro affetto… o la nostra bravura e meriti? Chiediamo al Signore tanta umiltà per metterci in discussione da questo punto di vista e la consapevolezza di essere chiamati ad ascoltarlo prima di vivere spontaneamente pur in maniera religiosa ma troppo poco cristiana.

Domenica XVa t.o. – 2019 C

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Michael Torevell

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In ascolto del Santo Vangelo secondo Luca 10, 25-37

Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza econ tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso».Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

“Il giorno seguente”… pensateci: non è un dettaglio, significa che ha dormito con il tipo alla locanda!
Ho letto e commentato questo brano decine di volte. Ma solo poco tempo fa mi sono soffermato su questo particolare. Significa che magari doveva andare a casa sua o dai suoi, o andare al cinema o a farsi gli affari propri o al lavoro ma ha ribaltato le sue priorità perché c’era da non abbandonare ancora quel tizio. Magari poteva dare anche un sacco di soldi all’hotel ma… la presenza umana, l’appello responsabile… Poesia? non so… l’elenco delle cure descritte da Luca è preciso, concreto, appassionato e zelante.
Più di qualche volta nelle canoniche dove sono stato mi è capitato di accogliere a scatola chiusa qualche pellegrino di passaggio…magari non italiano, rispolverare l’inglese, dare da mangiare, la doccia, un posto letto… una volta stavo proprio per uscire a cena e gli ho detto “se mi aspetti ti accolgo”. E al ritorno, io bello pasciutto e quasi dimenticando la cosa…, il tipo era la… non proprio un modello di samaritano, fare così da parte mia. E questo mi fa pensare. Accogliere ma alle mie condizioni.
Ma mi pare di poter dire davvero che accogliere non è poesia ma una sana rottura di scatole. Certo puoi accoglier gli angeli e cose varie…ma, niente, mi fa riflettere su quanto io sappia realmente espormi e giocarmi del mio, nella scomodità delle cose da fare o rinviare o rivedere per pagare fino in fondo e non solo a chiacchiere e dichiarazioni…il prezzo bello ma complesso della disponibilità e dell’accoglienza. Del fare spazio. Io a volte quando sono stato accolto, ho sentito che la vita dei miei ospiti era un po’ rimessa in discussione.
“il giorno seguente”… adeguare i miei tempi e impegni alla disponibilità necessaria…
meditate gente, meditate.

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