IIa Domenica di Quaresima B-21

C’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce.
(Leonard Cohen)

Dal Vangelo secondo Marco 9, 2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. 
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Un’esperienza di luce: questo ci riportano i sinottici su questo passaggio evangelico. Una luce che fa brillare la veste di Gesù e ce lo mostra trasfigurato. Non è facile e forse nemmeno utile cercare di capire davvero cosa sia accaduto. Le esperienze metafisiche, accadute duemila anni fa e riportate a voce…descritte e trascritte ecc. Ma insomma una luce. Il testo ci dice che non era un sole che abbronza e sotto il quale è bello stare, facendo tre tende, trattenendo. Comprensibile, Gesù ha appena annunciato la sua morte. Quindi questo finale viene rimosso, meglio stare sotto il sole a testa bassa, felici, facendo finta di non aver capito bene, di non aver sentito. I tre “caballeros” son quelli che accompagneranno Gesù dormendo volentieri all’orto degli Ulivi… Allora più che luce che abbronza e trattiene, questa è luce che rischiara e prospetta. Un flash che mostra la direzione e soprattutto la destinazione. Mosè ed Elia, ricordano le promesse annunciate e finalmente realizzate, quindi un compimento. Ma c’è anche un riconoscimento: il Padre interviene ribadendo cosa fare, ascoltare! Il bianco delle vesti e la luce richiamano la prospettiva della risurrezione. Tutto porta a comprendere che ascoltare significa comprendere un percorso che culmina nella morte e risurrezione. Non automatico certo, nemmeno strettamente necessario… ma per certi versi inevitabile. Se volete farmi tacere sulla buona notizia di un Padre…mi dovrete …far star zitto. Io continuerò a parlare. Perché è più importante la buona notizia che ho da dire alle vostre vite, che la mia vita. Quindi la trasfigurazione è anche esperienza non di risurrezione ma di annuncio, un anticipo, un flash nella notte che ti fa riconoscere il sentiero, in modo che puoi proseguire al buio nella direzione giusta. Dio irromperà nella storia. La luce aiuterà a comprendere l’accaduto, inquadrarlo, ascoltarlo e farlo proprio. Ecco perché non servono le tende, usare la luce per abbronzarsi, ma scendere e proseguire per Gerusalemme, dietro a Gesù, assieme allo scorrere della vita dal quale lasciarsi avvolgere e trasportare con fiducia e speranza. (mi permetto di ricordare che a Natale, Giovanni ci dice che Gesù è luce, le tenebre non prevalgono mai…ma i suoi non l’hanno accolto…ma a quanti l’hanno…capitolo 1…continuate voi..)

Ia Domenica di Quaresima – B ’21

 Dal Vangelo secondo Marco 1,12-15

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

Come “ciucciare” un osso: non c’è molto di più. Matteo e Luca raccontano un sacco di cose intriganti e dettagli quasi precisi rispetto a questa versione di Marco. Sembra quasi che lui voglia restare essenziale, non distrarci, ricordando solamente che Gesù è stato nel deserto e lo Spirito Santo era presente. Da lì poi ha iniziato la sua vita pubblica, il suo ministero, il motivo per cui è venuto qui: annunciarci un Padre=buona notizia. (quello che poi noi abbiamo trasformato nel Signore della religione!) Verrebbe in mente la “querelle” di traduzioni circa il Padre nostro. Come va col dire “non abbandonarci alla tentazione”? Che volto di Dio preferite, quello che ci induce (porta dentro) o che ci abbandona alla tentazione? Quello che provoca e mette alla prova o quello che se ne frega e magari ride mentre cediamo? Bella questione. Ampia soprattutto. Mi piace seguire chi piuttosto ha lavorato sul termine tentazione, scoprendone un significato un po’ diverso: prova. Non metterci alla prova. Del resto lo fece con Abramo, col popolo di Israele per 40 anni a zonzo nel deserto, con Giobbe… Quindi ci sta. Quasi che conoscendo la nostra fragilità, non volessimo cedere. “La ricchezza e la molteplicità di valenze della prova biblica, emersa negli esempi appena descritti, possono esser riassunte in un duplice fine: verifica e purificazione della fede/obbedienza in Dio. Se il Signore la permette, non è per ostacolare o indurre al male l’uomo, quanto piuttosto per favorire in lui un’adesione di fede pura e coerente.” (Gasparro, biblista) Insomma, qui si alza l’asticella. La quaresima servirà a quello? io la boicotterei… che bello sarebbe: niente quaresima, basta! Facciamo una sosta e mettiamo tutto il tempo che abbiamo pers.. ehm, impegnato a preparare furibonde quaresime volontaristiche di privazioni e fioretti (cartelloni, sandali, sabbia, spine, sacrifici)…a sviscerare il ruolo della Pasqua e della risurrezione per la mia vita, per applicarle ad una comunità… 6 domeniche di Pasqua contro le 4 di quaresima. Lo ridirò fino alla morte: perché un una volta invece di preoccuparci di cenere e quaresima, non ci disponiamo a vivere la Pasqua per me? Allora alziamo l’asticella, priviamoci del cioccolato o della carne e quel che è, ma basta che dall’altra parte del mio sforzo ci sia Gesù: non come bigliettaio che applaudendomi mi dà il bollino del bravo cristiano…ma come un fratello che mi aspetta, dice “bravo, hai fatto? bene, andiamo su…abbiamo strada da fare, dentro di te, ascoltati, sei risorto.” Grazie, Gesù, che bello…son stato forte”. “Si, va ben ma ti va di capire finalmente che significa?” – “Si, JC; grazie!”. “Ok, te lo spiego, aspetta un attimo che prendo un cartellone!”.

Battutaccie a parte: auguro a tutti una quaresima di messa alla prova della nostra fede, un po’ come Faber fa con i dieci comandamenti …. per poi alzare la testa e scoprire ..l’amore ..dietro di tutto.

La meglio religione che c’è…Omelia VIa to -B ’21

Non serve la didascalia, o si sa o meglio nemmeno andare avanti!

Forse non ce ne siamo nemmeno accorti; magari aspettavamo il vangelo con Gesù e il lebbroso. Eppure abbiamo sentito Paolo come accompagna quelli di Corinto. Siamo attorno al 53 d.C., appena 20 anni dalla risurrezione di Gesù. È in Turchia a Efeso e scrive questa lettera, alla comunità cristiana che lì ha fondato, in questa città molto ricca e famosa in Grecia; un porto di mare, crocevia di culture, nazionalità e religioni diverse, città famosa per i suoi vizi e ricchezze. Paolo non potendo scrivere email o viaggiare low-cost scrive lettere. Non deve essere facile essere cristiani in quel contesto così variegato. Sono condizioni molto simili al nostro vivere quotidiano, no? cristiani in minoranza… in questo nostro contesto socio-culturale.

Interessante: non raccomanda loro di pregare e fare chissà quali pratiche religiose o devote. No. Anzi. Dice una cosa che noi dimentichiamo.“Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto… per la gloria di Dio”.

Che effetto fa? Diamoci qualche istante. (…) Mangiare e bere? non chiediamo di meglio, a carnevale poi. Come se mangiare e bere fosse pregare. Forse allora dovremmo anche chiedere perdono se non lo abbiamo fatto. Ma come: essere bravi cristiani non significa non perdere mai la pazienza, non dire parolacce e bugie, non distrarsi nella preghiera, non saltare la messa…? che c’entrano mangiare e bere. E questa Gloria cos’è? (…)  Magari sembrerà banale?       Allora cambiamo verso, leggiamo al contrario, da destra: Paolo spiega ai Corinzi che Dio ottiene gloria dal modo in cui noi mangiamo, beviamo e facciamo qualsiasi cosa. È la nostra vita ordinaria lo strumento con cui gli diamo gloria. Quella che spesso non sopportiamo, giudichiamo, sentiamo insufficiente o inadeguata. Dio ha bisogno di questa nostra umanità così fragile per parlare di Lui.     Mangiare e bere è proprio quello che innanzitutto ci rende umani, bisognosi. Pensate che Gesù ha affidato a questa azione la memoria di Lui, della sua morte e risurrezione. L’eucaristia. Allora le cose si fanno interessanti: credo sia una questione di sguardi. Ho un cibo davanti a me. Pane, vino, supplì e cacio e pepe…tanto altro. Mangio con gratitudine? pensa ad es. a quanto lavoro c’è dietro quel cibo? chi ha coltivato la terra o allevato gli animali, chi l’ha confezionato o cucinato, mamma, moglie o Cannavacciuolo. Passione, competenza, impegno, dignità, diritto. E quelle verdure e quella frutta non sono nati dalla terra? Sono un dono, assieme al sole e all’acqua che le hanno fatte crescere. Dio lo ha affidato a noi il creato, perché ce ne prendessimo cura. Allora si tratta di mangiare con questo sguardo nuovo che non dà per scontato ma riconosce. Frutti della terra e del nostro lavoro…così il sacerdote a nome di tutti durante l’offertorio parlerà a dio del pane e del vino. Dono e compito. E mangiamo per sfamarci come bestie o anche con amicizia e fraternità? lo stupore, la riconoscenza e il piacere di farlo con le persone accanto a noi, magari nostri ospiti. Siamo interessati a loro? Condividiamo ricordi, emozioni, sentimenti e amore? il cibo condiviso o offerto, e figurarsi il resto sono occasioni per creare relazioni secondo lo stile di Gesù, per vivere il regno di Dio? Capite perché la nostra è la fede più bella del mondo? E magari questo cibo diventa anche impegno sociale per chi ha bisogno o si trova in difficoltà? Allora è sempre uno sguardo non indifferente ma di coinvolgimento, in cui vedere in trasparenza la presenza bella e gratuita di Dio, dietro i doni della terra, la passione della gente che prepara, la fraternità dei nostri ospiti, la necessità di chi ha bisogno, nostro prossimo. Tutto mi parla di Dio e io attraverso la mia vita, mi sento vicino a Lui e faccio nel suo nome.

Ascolto mia moglie, faccio i compiti coi figli, visito un amico, passo del tempo con l’adolescente e i suoi auricolari, cucino, riordino, lavo, stiro, sistemo la casa, preparo la tavola, mi prendo a cuore delle persone

Ad maiorem Dei gloriam,  è il motto dei Gesuiti, fai tutto per la maggior gloria di Dio, fallo nel suo nome. Ci facciamo il segno della croce prima di scendere in campo a calcio e non si può pensare a questo..semplicemente vivendo? pregare, vivendo.

Tutto questo ci rende gloria di Dio. In ebraico la gloria, kabod, non è proprio la fama, quella che magari passa, fatta di chiacchiere e apparenza…ma il peso che uno ha, la consistenza di come vive. Quella è una persona di peso.. mica quelli per cui dire durante il Tg della sera “sic transit gloria mundi”…

Oggi tra l’altro, con un sorriso, è anche la festa degli innamorati. Prima di pensare ai cioccolatini, credo sia bello chiedersi anche se non manchi uno sguardo innamorato, spesso alla nostra vita, De Andrè in una canzone “mi innamoravo di tutto”.

Uno sguardo sulla realtà che sia capace di non dare per scontato ma stupirsi, andare oltre apparenza, sintonizzarsi con empatia sul bisogno dell’altro, ringraziare, accontentarsi, riconoscere il bello, gratuito, che chiama per nome i propri bisogni e non se ne vergogna, che sa perdere tempo. Un po’ bambino, non infantile! Cosa diceva Gesù dei bambini? sanno offrire i proprio 5pani 2pesci,  chi vive così, con leggerezza, perché sa che è figlio ed il padre si prende cura di Lui, gli sta facendo pubblicità, sta dicendo che questo padre è bravo, lo rassicura, conferma ed educa al meglio.     La nostra vita cosa racconta di Dio? gli rende gloria? ne fa un Dio…di peso, di parola? la nostra vita fa venir voglia di credere e di sperare in questo Padre? O di evitare questa religione..come la peggiore delle lebbre…La gloria di Dio è l’uomo vivente, diceva Sant’Ireneo nel 200 dC Bellissimo: in questo modo non saremo di scandalo, cioè di inciampo a chi magari voglia avvicinarsi o ritornare.

Facciamo nostro il desiderio con cui Paolo si raccomanda ai Corinzi…perché si giunga alla salvezza, si inizi cioè almeno a desiderare un vita salvata, che dia gloria a Dio.