Domenica IIa di Avvento – A

(Tempo di lettura previsto: 6 minuti)

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In Ascolto del Vangelo secondo San Matteo 3,1-12
In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».
Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel desertoPreparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. 
Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Chi sono i nostri Giovanni Battista? le persone che incontriamo poco volentieri ma che ci fanno bene. Il loro stile, la loro vita, le loro scelte ci provocano. Amore e odio. Ci attraggono ma anche spaventano. Le invidiamo, ammirandole, ma poi stiamo bene così. Quella persona che riesce a fare, vivere e manifestare quello che a noi piacerebbe ma..siamo troppo pigri o tiepidi. Uno come il Battista è …quello che ti fa spesso magari sentire sanamente un po’ in colpa…giudicato ma non accusato. Manifesta una strada che non hai voglia di fare. Ma che farebbe bene. Un cartello stradale, che indica la direzione, una targa che ti dice che è possibile allora vivere così…
ma tu non ci riesci. E prima di accontentarti, giustificarti, relativizzarlo, perdonarti e tutto quel che vuoi… ci fa comunque bene quell’amaro in bocca.
Nessuno di noi deve vivere con invidia e all’inseguimento di una cosa che non è….ma spesso gli altri ci edificano, per quello che siamo. Ci stimolano. Solo se li lasciamo entrare come realtà possibile e realizzabile… ci lasciano, senza minimamente nemmeno saperlo, a rimuginare sui nostri se e ma, sui buoni propositi e verbi condizionali…
i sorrisi di S., la mitezza di L., l’assertività di G., la sagacia di M., la capacità di sintesi di S., l’intelligenza brillante di M., la memoria organizzata di N.,
la fede e l’umiltà di C., la capacità di cogliere i segni della provvidenza di L., la sobrietà di V., la povertà ed il distacco dalle cose di A. …
possiamo fermarci al vuoto e alla carenza in noi oppure trasformare tali consapevoli desideri in preghiera…e sorrisi.
Stiamo volentieri con questi nostri Giovanni Battista; ci aiuteranno a crescere senza restare troppo seduti… come quelli che dicevano “Abbiamo Abramo per padre…”
Buon Ad Ventus

“Che rapporto hai col tempo?” – Omelia Ia Domenica di Avvento 2016 – A

27112016
(“La persistenza delle memoria”, S. Dalì)

Alla fine, in America ha vinto Trump; e qui in Italia, tra un paio di settimane sapremo se si o no. Mesi di notizie e scontri, aspettando verdetti che non vediamo l’ora finiscano. Avete forse anche voi la sensazione amara che comunque sia andata laggiù o vada qui, avremo perso tutti? Che l’America sia riuscita a produrre solo quei due candidati, di 70 anni poi, e in Italia si sia, al solito, schifati, disorientati e confusi…comunque il responso di questi due eventi ci lascia l’amaro in bocca. Forse più che atteso abbiamo aspettato invano. Quale è la differenza? aspetto l’autobus, che una cosa finisca, il mio turno in coda o…comunque quella cosa accadrà. Mi siedo e aspetto.  E questo ennesimo Natale? scontato….
L’attesa è diversa. Ha il sapore del non dovuto e di una cosa che dipende maggiormente da te e che imparo a desiderare. 
  Oggi iniziamo l’Avvento, le settimane che la liturgia ci offre per rimotivarci all’arrivo del Salvatore che viene a vivere la nostra vita. Mi domando cosa ci sia da attendere dopo il “black friday” di venerdì, la celebrazione pagana del bisogno indotto, la liturgia dell’acquisto compulsivo. Abbiamo urgenza di aspettare Natale o bisogno di attendere Gesù Cristo? Non sono certo due cose in contrapposizione ma …
Vi sembro troppo pessimista o forse retorico e scontato?
Eppure mi pare urgente, oggi, come sempre, saper leggere la realtà per comprendere il senso vero di un’attesa. Se aspetto o attendo.
Vi è in gioco il rapporto che abbiamo con il nostro tempo. 
Spesso questo rapporto è malato.
ci rifugiamo nel passato, siamo rivolti al passato, segno di una psiche depressa; coltiviamo il mito delle nostre tradizioni, delle radici da riscoprire, con rigidità asfittica, non servono argomenti, l’aver “sempre fatto così” ci rassicura, cambiare o sognare, terrorizza; aumentano a dismisura in Italia l’uso di antidepressivi e secondo l’OMS la malattia più diffusa del mondo sarà proprio la depressione. Non possiamo ne sappiamo ne vogliamo guardare oltre con speranza ne fiducia; ci si sente minacciati da quel che sta per accadere e per questo, facciamo come gli struzzi, nascosti nel passato, ci rifugiamo in quel che conosciamo e in un torpore letale che ci addormenta la vita. Siamo come morti e sepolti.
    Oppure ci rifugiamo nel presente, senza ali ne radici: cogli l’attimo, vivi come non ci fosse domani, non pensare. Dalla depressione allo stress, all’ansia da prestazione. Accumula e consuma; una deriva maniacale…l’abuso di ansiolitici, figli iperattivi e disturbati, alti livelli di suicidi, corruzione, violenza;  Pensiamo al nostro benessere narcotico, indaffarati senza nemmeno sapere perchè, abbiamo diritto a tutto, guai a chi me lo impedisce. Lo elimino, ci sono prima io. Solo io. Schiacciati nel presente, ci stordiamo di emozioni, fuggiamo nel virtuale per non affrontare il reale, fatto di ansie spasmodiche e paure, mode e manie…bevo, fumo, gioco e son sempre connesso per sentirmi vivo, faccio mille cose per non sentire il vuoto, per non pensarci.
  La nostra psiche è depressa quando tutta raccolta nel passato, è maniacale quando tutta concentrata sul presente. Ma è sana quando è aperta al futuro. Eppure…
Veniamo da decenni e secoli in cui si guardava al futuro con speranza: la promessa di un avvenire desiderabile! ragione, tecnica e scienza ci facevano guardare oltre i nostri limiti, ad un tempo in cui tutto sarebbe stato bello, giusto e vero. Il mito del progresso, del tutto è possibile quindi automaticamente buono, utile e lecito. Il marxismo, il capitalismo, le rivoluzioni, certe filosofie…tutto sarebbe andato per il meglio. C’era una promessa. Poi, nel 900 è successo di tutto e non pare certo migliorare. Mi chiedo da tempo ormai, come guardiamo al futuro? a quello che ci aspetta?
Non più con fiducia ma come una minaccia. Non abbiamo voglia di crescere, eterni Peter Pan, adulti capricciosi e genitori immaturi, giocano a fare gli amici dei figli, educare sembra impossibile, invecchiare o morire un tabù, progettare, impegnarci, restare fedeli, assumerci responsabilità, vivere i propri doveri, sembra inutile e asfissiante! non riusciamo a vivere senza inquinare, distruggere o distruggerci, disoccupazione, disastri ecologici, natalità 0, troppi interessi e privilegi per correggere stili di vita, abitudini, evitare pericoli, cosa stiamo facendo? abbiamo perso la voglia di credere e sperare in un futuro buono e migliore, perchè lo sentiamo una minaccia. Allora muri, rigurgiti razzisti, alibi o indifferenza, superficialità, ansia e paure. Viviamo a testa bassa.
Mi chiedo allora…tra passato, presente e futuro, cosa aspettare ma soprattutto… perchè? di cosa abbiamo realmente bisogno?
La nostra fede cristiana, questo Gesù che viene…è un’abitudine o può essere risposta? lo sarà nella misura in cui tutto quello che ho elencato non ci appaia come una cronaca di disperazione ma un evento di opportunità; non come un infinito telegiornale nauseante di cattive notizie e scandali ma come un qualcosa che ci permetta di reagire e sognare ora qualcosa di diverso, una direzione da prendere. Come un bilancio che oltre ai fallimenti indichi priorità e denuncia l’assenza dell’unica cosa utile anzi essenziale: abbiamo bisogno solo di Gesù, che ci riconsegni la nostra umanità più autentica e libera. Un noi possibile, un bene comune condivisibile. Ci insegni nuovamente ad essere uomini e donne d’amore, di pace e speranza, persone che sanno rendere umano e bello l’amore, senza se e senza ma, senza illusioni ne disincanto…
quell’amore che guarda al passato e lo trasforma, in fiducia..
quell’amore che vive il presente con realismo e determinazione..
quell’amore che attende il futuro con sapienza e perseveranza.
Carissimi, noi cristiani siamo chiamati a riaprire l’orizzonte della speranza. Gesù viene ad abitare questo mondo, non ci chiede prima di ripulirlo ma di accoglierlo al nostro fianco. 
Ecco perché una psiche adulta e sana guarda al futuro con consapevolezza, perché riconosce che ha bisogno di direzione, di senso come pure di fiducia e crediti per il viaggio della vita.
E’ ormai tempo di svegliarvi dal sonno, dice la lettera ai Romani. Come quando sei vivo ma non lo sai. Il Signore viene, come ci ricorda il vangelo, oggi come allora, e nessuno se ne accorge e forse nemmeno lo desidera…viene non a condannare ma a salvarci, ad essere quella salvezza più vicina di quando diventammo credenti. Ci aiuti per questo a confidare in Lui ed essere per questo, credibili; ci aiuti a vivere il tempo come una opportunità, un dono da non sprecare, una speranza da costruire.
Allora non avremo aspettato nulla ma atteso e accolto, l’unica cosa di cui avevamo realmente bisogno.

Domenica Ia di Avvento – A

(Tempo di lettura previsto: 6 minuti)

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In Ascolto del Vangelo secondo San Matteo 24,37-44
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Ma come: abbiamo appena finito l’anno della misericordia, con tutte le porte aperte e chiuse e i propositi papali e gli sconti, le concessioni… w w la misericordia e che pagina di vangelo ci attende? Cominciamo bene questo avvento: abbiamo davvero voglia di celebrare la nascita di chi verrà in maniera misteriosa e terribile come un ladro? all’ora che non immaginiamo, come un terremoto o i ladri o un ictus…magari mangiando il panettone?
Inutile negarlo: il vangelo di oggi, come ogni tanto accade, ci appare un po’ indigesto. Nessuno di noi vuole essere portato via. Quel invito a vegliare, a vigilare poi sa un po’ minaccioso, tenete la guardia alta. Ma quale è il senso di tale invito, oggi? perché restare pronti? per cosa?
ecco una bella occasione per vivere da protagonisti questo Avvento: lasciamo perdere gli sbuffi anti natalizi, i “già natale!”, le inutili crociate anticonsumismo ecc. ecc…e concentriamoci, pochi ma decisi, su cosa aspettare e perché. Allora essere pronti significherà essere attenti e pronti a riconoscere attorno e in noi i mille gemiti che vogliono abitare la nostra vita.
I mille spunti a camminare, crescere, riconoscere, credere, convertirsi. Le piccole luci che indicano direzioni, propositi, desideri e bisogni autentici che ci chiedono solo di essere illuminati e sperati meglio e assieme. Ecco cosa significa essere pronti. Ogni ora può essere buona perché tutto può parlarci di Dio e del suo desiderio di bene e meglio per ciascuno di Noi.
Ecco la speranza, qui, adesso, in ogni occasione di incontro, pensiero, emozione o riflessione. In ogni minuto che sceglierò di dedicarmi: fosse anche dedicandomi a Lui, a loro, a me stesso.
La speranza è già qui, basta saperla respirare, non quella magica e risolutiva come un’estrazione al lotto o un miracolo..ma come lo sguardo nuovo e comune da dare e da dire a quel che stiamo vivendo. Buon Avvento.