Sono due i pilastri tradizionali di questa Domenica delle Palme.
Il primo é l’ascolto della Passione; il secondo, l’olivo.
Quanto al primo, quest’anno tocca all’evangelista Matteo, al suo testo asciutto e carico di riferimenti all’Antico Testamento. Quasi a dire che Gesù porta a compimento tutta la scrittura e le varie immagini di Dio che in essa, nel bene e nel male, ritroviamo. Come pure delle tante profezie ed annunci lì presenti sul Messia. Questo perchè Matteo aveva come destinatari, l’incarico più difficile: le comunità di ebrei religiosi devoti.. le cui certezze andavano scardinate dimostrando loro che quel Gesù era il Messia che loro da millenni attendevano.
Ma anche, tipico di Matteo é lo spazio riservato all’ultima cena.. a ricordare che il primo atto che fonda la nostra fede é un pasto. Una cena che però è atto di amore e abbandono. E che nulla avvenne a caso. Nulla fu subìto. Tutto fu scelto e portato, pur drammaticamente, a termine. Un unico grande gesto d’amore.
La passione, nella domenica delle Palme, ci appare sempre come un maestoso portale d’ingresso; ci fa avanzare lenti, con rispetto, quasi in punta di piedi. La conosciamo, é vero, ci chiede di non essere data per scontata. Progressivamente ci guida verso la Pasqua. Entriamo seguendo Gesù. Il finale lo conosciamo. Abbiamo contemplato e ancora lo faremo con calma, venerdì santo, le ultime ore della sua vita. Ci auguriamo di poter sentire queste parole come vicine, di rispecchiarci. Di sentire personaggi come Giuda, Pietro, Pilato quasi amici e fratelli per le nostre vite spirituali.
Sappiamo anche che in pochi giorni, la folla volubile passerà dall’ ”Osanna al figlio di David ” all’acclamazione funesta di “Barabba, Barabba.” Memoria corta, la folla, come sempre. Volubile. Bandiere al vento.. delle mentalità e di chi sa sempre cosa dire e da che parte manovrare. Sappiamo bene come funziona, lo sentiamo nel cuore dei nostri tradimenti, abbandoni ipocriti, chiusure e rifiuti.
Il secondo pilastro é l’olivo. Il rischio é di trattarlo come un oggetto scaramantico, un cornetto contro la sfortuna. Diciamoci la verità.. lo abbiamo trovato nelle nostre credenze o incastrato in qualche immagine sacra.. secco e morto da mesi, senza ce ne fossimo accorti. Appena lo prendiamo in mano ci si sbriciola addosso inesorabilmente.
Ma cosa ci stiamo portando a casa? Un “gadget” cristiano? Un “sounvenir” pasquale? O un antidoto alla sfortuna?
Magari come accadrà o accade ci saremo anche accapigliati per prenderne un ramo, avremo scelto quello più bello e rigoglioso. Ma cosa ci saremo portati a casa? Un desiderio, un impegno o qualcosa di magico?
Nella Genesi, Noè fa uscire dall’arca una colomba, per capire se il diluvio fosse cessato. Questa ritorna stringendo nel becco una tenera foglia di ulivo. Segno di pace, di vita nuova, di alleanza che riprende. Fu il segno che Noè attendeva per terminare la sua missione di custode del creato e per far ricominciare la relazione tra Dio e l’umanità perdonata.
Mi verrebbe da dire.. portiamocene a casa un pezzo grande quanto il nostro desiderio di costruire e conservare la pace, (cioè il rispetto, l’accoglienza, la collaborazione, la fiducia, la generosità disponibile..), se no lasciamolo lì, per onestà e per non prendere in giro il Signore.
Altrimenti sarà come portarci a casa una corona di spine.. sarà il nostro primo lento “Barabba”..
Sia almeno questo il desiderio con cui ci sosterremo a questi due pilastri in questi giorni.
La sua parola da contemplare e ricordare.. e il desiderio di uscire da questa celebrazione come tante colombe con l’ulivo tra le mani.. che si impegnano per una vita di pace, di rispetto e di vera relazione con Dio Padre.
La Pasqua, passaggio dalla morte alla vita, cominci per noi proprio da qui.