Il pane è fatto per essere mangiato, mica contestato. È lo “street food” per antonomasia: la ricreazione a scuola col panino con l’uvetta, la merenda pane e nutella, il panino al volo quando hai fame e non hai tempo, il fantomatico “pranzo al sacco” coi panini lussuriosi grondanti maiale avvolti nella stagnola… e tutti i suoi derivati, a base di pane, dal toast al tramezzino, passando per la focaccia e il trapizzino. Insomma… non ci sono scuse per non mangiare. Jc aveva visto lungo. Lo chiamiamo “fare la comunione”, “andare alla comunione”: due espressioni popolari, tipiche, secondo me bellissime, cariche di significato. A volte ho la sensazione che troppa gente si accosti con incoscienza ed inconsapevolezza all’eucaristia. Come pure che tantissimi non si accostino per motivi superficiali, banali, contestabilissimi… cioè che basterebbe disinnescare in un dialogo qualche “pippa mentale religiosa” e si potrebbe tornare a fare merenda. Credo che l’espressione “andare alla comunione”, cui la liturgia ci invita, nella Parola e nel Pane, sia l’invito più bello…dovrebbe debellare quasi tutte le pippe mentali. È un invito, come fai a dire di no? al limite solo per comodità. Ci attira a se. Invito ad una relazione “nutriente”, per stare bene. Non un premio, non qualcosa da meritare ma da fare. Infatti ecco il “fare” la comunione: qualcosa di cui hai bisogno di cibo (nutrimento, forza, coraggio, audacia, sostegno) per farla, cioè costruirla, assemblarla, sceglierla, costruirla, incoraggiarla… andiamo alla comunione, per fare costruire comunione. Mica per meritare Gesù. Ma perché ci chiede questo. “Corpo di Cristo” forse non è solo una dichiarazione di quel che stai per mangiare… a cui dire “ok, amen (lo so!); magari è anche un invito. Diventa, sii, scegli di essere corpo di Cristo. Cioè parte della squadra. Nessun becero intimismo devuoto. Ma guardarsi attorno e sentirsi parte di un tutto più grande che dà senso a ciascuno. Diventiamo tutti parte del Corpo di Cristo che non ha altri mezzi, altre membra, altri strumenti che noi. Lui si scioglie in noi per trasformarsi in noi, in gesti, sguardi, sentimenti, attenzioni, premure, scelte. Si, noi. Preti, suore, genitori, fratelli, sorelle, cognate, nuore, maritimoglicompagnicompagne, lavoratori, studenti, disoccupati, sani malati, di destra o sinistra, per la mortadella o il crudo, vegetariani o sovrappeso. Siamo solo noi, direbbe Vasco. Lui ha solo noi: JC si affida a noi, perché rifiutarsi di mettere la maglietta, fare riscaldamento e scendere in campo? Il pane si fa Corpo, il corpo impara a farsi pane. Funziona così. Chiediamo al Padre di attirarci a lui: di riconoscere in noi e attorno a noi, sia nei volti, che nelle storie, che nei dettagli (il vento, il tramonto, un buon libro, un dettaglio) che lui ci attira a sé. Epressione bellissima. Non siamo noi che cerchiamo Dio, che vogliamo capirlo, spiegarlo, giustificarlo… trattandolo di fatto come un argomento o un oggetto o una teoria. Noi siamo cristiani perché di fatto già umanamente “bucati” ma circondanti da un Dio che ci attira a sé in mille modi diversi. Uno su tutti: la libertà di accorgercene, decifrarlo, fidarci e … diventare buoni come il pane.
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