Ma Dio non è così… Omelia XIIIa t.o. C ’22

Boannerghes: in aramaico “Figli del tuono”: così Gesù definisce due dei discepoli che Lui stesso ha scelto per stare con sé, i fratelli Giacomo e Giovanni. A dire di un caratteraccio (noi che spesso siamo delusi o scandalizzati del nostro presunto brutto carattere) forse focoso, irascibile, risoluto, sicuramente appassionato. Eppure proprio Giacomo e Giovanni saranno spesso coinvolti da Gesù per seguirlo rispetto ad altri. E proprio così, inviati ad annunciare il suo regno. E oggi si vede, da come affrontano la situazione: l’ennesima brutta figura, per certi versi, dei discepoli. Vogliono risolvere a modo loro. Me li vedo mentre si alzano le maniche, gli occhi spiritati, le braccia tese…pronti a pensare di poter comandare a dio che mandi un fuoco a consumare sti samaritani fetenti che non vogliono accogliere Gesù. 

Forse il dio cattivo, rigido, permaloso quanto loro pronto a punire ed esigere rispetto, rigore, autorità. Ma Dio non è così. Il loro forse, il nostro a volte. Ma non il padre misericordioso di cui Gesù ci parla e per testimoniare il quale…va a Gerusalemme, dove ben immagina gliela faranno pagare. Quanto ci assomigliano, quando anche noi senza accorgercene, diamo per scontato dio sia come noi, ragioni come noi, ci tenga il gioco, quando pensiamo ancora di essere in un regime culturale di cristianità per cui guardare tutti dall’altro in basso.  Gesù li rimprovera. Ma non li caccia. Non crede alla selezione ma all’integrazione. Stando assieme a me, capirete. Prima vi lasciate amare, accogliere, lavare i piedi, poi forse ci capirete qualcosa. “Camminando secondo lo Spirito”, dirà nella seconda lettura Paolo ai Galati. In quella comunità succede che “vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi”. Questo sta raccomandando a quella comunità cristiana 2000 anni fa. Le nostre parrocchie oggi sono forse esenti da questo? Succede che tra preti, religiosi, tra gruppi e associazioni più o meno cattoliche si litighi, ci si divida, ci sia competizione, maldicenza e sospetto? Che tra i vari gruppi della parrocchia, si salga a turno sul palcoscenico del fare per gli altri ma poco su quello del convertirsi al vangelo; senza mai parlarsi, confrontarsi, accogliersi. Dimenticando di restare in ascolto dello Spirito, come ci ha più volte chiesto il cammino sinodale qualche anno fa e ora il sinodo della chiesa. C’è spesso troppa competizione e troppo poca corresponsabilità. A testa bassa sul fare ma poco pronti a verificare motivi, a chiedersi se davvero possiamo essere riconoscibili, come cristiani, perché uniti, come dice il vangelo di Giovanni. Spesso ci interessa più sentirci salvatori, che vivere da salvati. E questo accade perché siamo tutti troppo religiosi a modo nostro ma troppo poco cristiani a modo Suo! Siamo tutti cristiani, finché possiamo fare quello che vogliamo, sfamando i nostri protagonismi a spese degli altri. Ma allora non è più un cammino dietro a Gesù ma solo una farsa tiepida e inutile. Sarà per questo…che Elia, nella 1a lettura, mette il suo mantello su Eliseo. Lo consacra profeta. Un passaggio di consegne che quel mantello coi suoi diritti di identità, richiama. Eliseo non è in parrocchia, in seminario o in chiesa. Ma sta arando i campi con i buoi. Sta lavorando. E quindi capiamo che questa scelta di Dio è per pura grazia. Gli viene chiesto di essere profeta. Che la sua vita si faccia profezia, testimonianza del volto di Dio, del suo regno. Ciascuno di noi nel battesimo è stato consacrato re, sacerdote e profeta. La vita di ciascuno è chiamata a farsi profezia, voce fuori dal coro, coscienza critica, luce e sale della terra, indicazione suggestiva di una salvezza che innanzitutto è all’opera dentro di me, perché anche io sono stato chiamato a libertà, a mettermi a servizio per amore restando in ascolto docile, umile, sereno dello Spirito. Chiediamo al Padre di farci desiderare, in questa prossima settimana, di sentire sulle nostre spalle, il suo mantello, nel desiderio di accogliere questa prospettiva e,  a prescindere dal nostro carattere, vivere cercando con il nostro stile, di far venire il suo regno, innanzitutto tra di noi.

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