Ciao! non si può nemmeno salutare? gesto gentile…innocuo.
E’ probabilmente una delle prime parole che abbiamo imparato: “fai ciao con la manina!” Ma che significa? ..
Ciao è internazionale, tutti nel mondo sanno che è un saluto, non si traduce nemmeno: ma sappiamo cosa vuol dire? è una vergogna non saperlo sia perché ha un bel significato sia perché deriva dal veneto, in particolare dal veneziano. Vuol dire schiavo! Era un saluto ossequioso, compare anche nelle commedie in dialetto del Goldoni. Schiavo tuo,…nell’uso prolungato diventa ciao! cioè a tua disposizione, sono qui per te.
Fa un certo effetto secondo me scoprirlo. Schiavo fa venire in mente qualcosa di brutto e antico, campi di cotone, colonie, mercati di essere umani: niente di nuovo anche oggi comunque, tra prostitute, traffico d’organi o di profughi in Libia e altre perle della nostra così evoluta società globale.
Fa effetto soprattutto perché ci sembra termine eccessivo, sgradevole, non vogliamo essere schiavi di nessuno ne ci servono schiavi, a malapena spesso sopportiamo la badante!
Noi preferiamo essere autosufficienti. Non vogliamo aver bisogno, ci pare di legarci. Meglio autonomi e indipendenti.
Aver bisogno dell’altro non ci piace. Meglio far noi, arrangiarci.
Così possiamo gestire e non essere gestiti. Qui si tratta di capire che noi non vogliamo la logica della gratuità. Preferiamo lo scambio. Fatichiamo a lasciarci fare qualcosa di gratuito. Pensiamo subito a come sdebitarci prima possibile. Paghi tu? ok, la prossima volta offro io. Ceniamo da voi? la prossima volta venite a casa nostra. Abbiamo come fretta, viviamo un gesto gratuito nei nostri confronti con ansia, come un debito insopportabile a cui rimediare prima possibile.
La lavanda dei piedi va letta da qui. Come un gesto d’amore gratuito che Gesù usa in una logica di gratuità. E che ieri come allora noi rifiutiamo.Ad es. e se io adesso vi chiedessi ..chi desidera farsi lavare i piedi?
E pensate che noi riviviamo questa serata ogni anno da una vita, ce la aspettiamo…carina, coreografica..finchè non tocca a noi.
Pensate cosa dovettero vivere i discepoli, nella loro cultura, tradizione e mentalità…
Perché non vorremmo farla? imbarazzo, timidezza, non volersi far vedere, piedi sporchi, calzini bucati?
Eppure durante l’ultima cena Gesù sceglie proprio di comportarsi così. E non per insegnare l’umiltà…ma per qualcosa di molto molto più importate.
Generalmente era il gesto dello schiavo, del ciao: a volte anche del discepolo verso il maestro saggio o del figlio al padre.
Ma Gesù lo compie spogliandosi delle vesti, restando in mutande, nudo come erano gli schiavi. E guardate che Giovanni presenta quanto accade in modo solenne, come al rallentatore.
Un gesto, dunque, che è di umiliazione ma che può anche essere di relazione, di affetto. E non possiamo dimenticare che, se questo è il gesto compiuto quella sera da Gesù verso i suoi discepoli, l’unica che aveva fatto a lui quel gesto, l’unica – non glielo hanno mai fatto i discepoli –, l’unica era quella prostituta che gli lavò i piedi e per la quale Gesù ha dovuto dire che quel gesto era una narrazione di amore.
In ogni caso, Gesù opera un’inversione dei ruoli: si fa schiavo, si fa discepolo, si fa figlio.
Si mette davanti a noi, ai nostri piedi e ci dice “ciao”: sono tuo schiavo, voglio lavarti i piedi, accoglierti, amarti. Non perché sei bravo ne perché te lo meriti. Il Pietro che è in ciascuno di noi rifiuta questo perché non si fida. Non sappiamo lasciarci amare gratis. Vogliamo sempre meritarlo. Abbiamo paura di lasciarsi amare gratis, guardare per quello che siamo, feriti, falliti, fragili, vulnerabili. Pensiamo sia umiliante aver bisogno dell’altro. Invece noi siamo fatti proprio per aver bisogno dell’altro. Solo con l’altro, nella relazione reciproca di amore, noi troviamo noi stessi. Pensate alla vita di coppia, al servizio, all’amicizia. Assieme scopriamo noi stessi e ci scopriamo amabili. Questa sera Gesù ci offre se stesso nell’eucaristia. Si fa schiavo, si fa cibo, si fa nutrimento. A di tutto per dirci che vuole essere nostro. Li amò sino alla fine.
E noi?… spesso mi pare rischiamo di essere degli atei devoti.
Devoti perché facciamo tante cose belle e cristiane (pensiamo noi) atei perché Dio non c’entra nulla. Tante confessioni..sembrano uno sfogati psicologico: sono in ansia, sono impaziente, non vado d’accordo..ma Dio cosa c’entra? riduciamo la vita cristiana ad un galateo sociale o ad un lavoro sul nostro carattere. Ma Dio? è morto perché? cosa celebreremo domani sera tutti in fila in processione? Lui va in croce per noi, ci lava i piedi, si fa cibo e noi pensiamo a quante volte abbiamo perso la pazienza o ci siamo distratti pregando?
Cominciamo a lasciarci lavare i piedi, ad abbassare la guardia, a dargli del tu..a permettergli di essere quel che Lui vuole essere per noi… non lasciamolo da parte mentre preghiamo che faccia altro.
Gesù stasera ci dice …ho bisogno di lavarti i piedi, lasciami sostare ai tuoi piedi per farti capire quanto sei importante per me.
Carissimi la fede inizia qui: non cosa vorrei fare io per te ma quanto vuoi amare tu me, Signore Gesù.
Che fortuna abbiamo qui a Merlengo di avere sull’altare la raffigurazione proprio della lavanda dei piedi: ogni volta che entriamo in chiesa poter guardare subito qui e ringraziare, chiedermi…quante volte mi son lasciato lavare Signore Gesù? perché te l’ho impedito? perché fatico a lasciarmi amare e a voler servire, piuttosto che essere servito?
ciao.. ci ricordi un impegno alla disponibilità, all’amore, ma innanzitutto un volto di Gesù che troviamo ai nostri piedi: da li ci sta guardando per farci abbassare la guardia
ciao..