Ricevo una vignetta nel cellulare, è bella mi fa riflettere; oserei dire sia pasquale e quindi ve la condivido.
Ci sono Snoopy e Charlie Brown, intenti a fare discorsi schietti e mai banali, come chi conosce questi fumetti – ben sa.
Affacciati ad un bel panorama, concilia la meditazione, CB dice a Snoopy “Un giorno ci toccherà morire!”. “Certo Charlie, risponde il cane, sempre furbastro, però gli altri giorni, … no!”
Credo esprima bene il cuore del vangelo e quindi della vita cristiana. La possibilità di credere in una qualità di vita diversa. Non perché differente, trasformata magicamente da un Dio troppo umano, come noi, che ci evita il male e regala il bene, come nelle favole forse…diversa perché avremo colto la possibilità, liberi, di guardarla in maniera nuova, da un’altra prospettiva.
La fede è questione di sguardi: vivere da risorti, (guai se almeno non ci chiederemo cosa significhi e come farlo), in questi 50 giorni di Pasqua, vuol dire chiedere a Dio i suoi occhiali per guardare la realtà. In essa ci siamo noi, il nostro passato, presente e futuro, le relazioni con gli altri, la vita, il tempo che passa e si fa storia. Insomma, tutto. La realtà non è quello che speravamo fosse o che vorremmo diventi ma solo quella che è. Non dipende da noi e forse tanto nemmeno da Dio. Qui si dovrebbe cogliere la differenza fondamentale tra un credente e un indifferente: il cristiano cerca di guardare la realtà da risorto, con gli occhiali di Dio, l’indifferente continua a venire a messa e si sente a posto così. Da che parte staremo? Anche il vangelo ci offre tutto un gioco di sguardi, che dice bene il percorso di fede:
-Marta, scrive Giovanni, va al sepolcro per stare con Gesù, morto, vegliarlo: vede la tomba aperta e vuota ma non vi entra; corre dai discepoli portando l’annuncio dell’assenza. Registra quanto accaduto. La realtà è quella e non posso farci nulla. L’evangelista qui usa il verbo vedere…fisico, normale come “accorgersi, notare”…ma senza farci molto caso. Quasi senza profondità.
Alla corsa di Maria corrisponde, in verso contrario, quella affannata e sconvolta dei due discepoli, Pietro e Giovanni.
-Quest’ultimo giunge al sepolcro ma non entra: anche lui vede, in greco lo stesso verbo, si china sui teli posati ma non entra. E’ successo qualcosa si, il calendario ed il menù del pranzo oggi dicono sia Pasqua ma, come dire, non mi riguarda, non so che significhi, farò le solite cose scontate e dovute, ma non vado oltre.
-Quando arriva, Pietro entra: il suo sguardo è più attento, il vangelo dice che “osserva” i teli, il sudario.. attraverso il suo sguardo troviamo conferma dell’assenza del corpo come pure possiamo intuire che non ci sia stato nessun furto, perché tutto è stato sistemato con calma. C’è un appello, a prendere posizione.
-Finalmente entra anche l’altro discepolo: egli vede, altro verbo ancora in greco (mal tradotto in italiano) e crede. Contempla…
La stessa situazione che ha generato angoscia in Maria e il silenzio di Pietro, conduce ora il discepolo Giovanni alla fede “credette”. Ecco come inizia la risurrezione in noi. Educando il nostro sguardo. Come ci collochiamo davanti al celebrare la Pasqua? come un’esperienza di fede per la qualità della nostra vita? come qualcosa di automatico da vivere, nella cronaca della vita che si ripete ciclicamente, natale pasqua auguri auguri e via? Come un cammino ed una ricerca di senso, per continuare a vivere tutti i giorni, come ci suggerisce Snoopy.
A questo punto sorge la domanda. Perché solo Giovanni si apre alla fede? forse perché è il discepolo che Gesù amava o che si lasciava amare da Gesù?
Solo l’amore può aprire alla fede e lo fa, paradossalmente, in un luogo di morte. Non l’amore che pensiamo di offrire a Dio ma quello che ci mettiamo nelle condizioni di ricevere. Non quello donato da noi, volenterosi e devoti, quindi prevedibile, ma quello che ci offre Dio, con il suo sguardo, sorprendente ed imprevisto.
-Maria non potrà riconoscere Gesù se non quando, sentendosi chiamare per nome da Lui, abbandonerà il sepolcro e si volgerà verso il risorto.
-Così Pietro, che pure nota alcuni indizi, non si abbandonerà a Gesù fin quando resterà prigioniero del ricordo della sua fragilità, del tradimento. Non si arriva alla fede amando, ma lasciandosi amare. Perchè si tratta di entrare in un’altra logica, quella di Dio, un altro sguardo sulla realtà, i suoi occhiali.
La novità sta proprio qui: uscire dal lutto, da un Gesù come la nostra fede o tante attività parrocchiali..imbalsamate, belle ma morte…per incontrare il Risorto, rinunciare a cercare un cadavere per lasciarsi raggiungere da Colui che è vivo, non è qui, è risorto e vi precede in Galilea, come abbiamo sentito stanotte.
La forza di affrontare, con quegli occhiali, percorsi nuovi e inediti. Passando da una cronaca che ci travolge, passivi, di cose da fare…
ad una storia di salvezza da vivere. Vivere da risorti significa poter scorgere la presenza di Dio nel cuore delle persone, la sua luce nelle loro coscienze, in trasparenza dietro ciascuna esperienza, tra le trame della cronaca quotidiana, sullo sfondo delle nostre croci e sintonizzarcisi. Collaborarvi. Tentare di dare una forma di vangelo alle nostre esistenze. La risurrezione non è un evento passato da riesumare e ricordare ma una potenza da sfruttare, quella luce che gli occhiali di Dio ci permette di vivere sulle nostre realtà. Il tempo di Pasqua, 50 giorni a Pentecoste, ci aiuti a comprenderlo e metterlo in pratica.
Dalle pratiche quaresimali alla pratica della risurrezione.
Non è vero che si vive una volta sola, una volta sola si muore…noi si vive per sempre. Buona Pasqua..