1) Natale: Dio non aspetta le nostre buone opere, che ci facciamo belli e puri ai suoi occhi, né che ci prepariamo o siamo degni di incontrarlo ma viene Lui a vivere accanto a noi, a prendere sul serio la nostra vita e il bisogno di essere amati e di amare; viene povero e fragile, nell’odore di letame dell’umanità che lo accoglie e ancora oggi così lo vive…cioè da peccatori, feriti e amati.
Incarnazione significa proprio questo: Dio prende carne, si fa persona umana, fragile, debole come noi perché questa nostra vita umana, materiale, affaticata, quotidiana, concreta, quella di cui ci vergogniamo o sentiamo come ingombrante per la religione,…sia salvata, resa preziosa, graziata dalla sua presenza.
2) Epifania: questo sogno di essere il nostro salvatore, di salvarci da noi stessi, dalle idee sbagliate ed inutili di Dio è davvero per tutti non per i meritevoli o degni: ecco i Magi, che sono pagani ma in ricerca…non come i devoti che al tempio con Erode sanno a memoria la lezione di catechismo, la spiegano citando i testi sacri agli stessi Magi, san tutto del messia che nasce ma non si mettono in cammino, restano nella comfort zone della loro religiosità civile e folkloristica, in cui parlano di Dio per sentito dire…non per aver fatto esperienza di lui.
I Magi rappresentano età, cultura e provenienza geografiche diverse, quindi significa per tutti…(come le parole della consacrazione prendete e mangiatene tutti, versato per voi e per tutti”) non per “i suoi che non l’hanno accolto” ma per “quanti lo hanno accolto a cui ha dato il potere di diventar figli di Dio,” abbiamo sentito a Natale e domenica scorsa. Nessuno si deve sentire escluso da questa salvezza, qualsiasi cosa possa aver o meno fatto o vissuto, nessuno è inutile, irrecuperabile o indegno davanti alla misericordia di Dio Padre.
3) Infine oggi, il battesimo: questa salvezza avviene attraverso la relazione che il Signore vuole instaurare con ciascuno di noi. Inizia con uno stile preciso, come quello del presepe per certi versi…dal Giordano, fiume largo meno del Giavera, non famoso come Nilo, Tigri, Eufrate, al confine tra territori pagani e Palestina, e forse il senso è proprio qui. Gesù parte sempre dal basso, da dove siamo, coi peccatori perché nessuno possa sentirsi a disagio nella relazione di fede, nella preghiera davanti a Lui ma compreso e accolto ad oltranza, …con più futuro che passato!
Lo abbiamo lasciato alla mangiatoia, lo ritroviamo uomo fatto: son passati 30 anni. Quanti miracoli e guarigioni avrebbe potuto fare, quante cose interessanti e utili dire, quanta acqua trasformare in vino, quanto bene fare, quanti consensi e applausi ricevere…eppure non fu guidato da un criterio di efficienza, dal culto della prestazione, dell’ansia veneta del “devo fare tutto mi”.. anzi. 30 anni anonimi, lavorando, nel paese malfamato di Nazareth, a invecchiare come un buon vino in botte di rovere, a lasciarsi ripassare come il Valpolicella…ci riflettiamo sempre troppo poco su questa scelta precisa di Dio. Così inizia la sua vita pubblica, questo lo stile con cui ha voluto prepararsi all’incontro con noi e come continua a voler entrare in relazione con ciascuno.
Quanto ne siamo consapevoli? quanto ci riguarda?
Natale, Epifania e Battesimo oggi come un trittico ci raccontano l’ingresso nella storia del figlio di Dio. Come possiamo dirci cristiani e battezzati senza tenerne conto?
Chiediamo al Signore di accendere in noi la consapevolezza del dono del nostro battesimo, delle sue potenzialità, dei nostri diritti; ci doni la capacità di ripulire sempre, grazie al suo vangelo, il nostro sguardo su di Lui, su noi stessi e gli altri, per continuare ad essere testimoni credibili di un Dio desiderabile per cui valga la pena dirsi cristiani.