Forse non ce ne siamo nemmeno accorti; magari aspettavamo il vangelo con Gesù e il lebbroso. Eppure abbiamo sentito Paolo come accompagna quelli di Corinto. Siamo attorno al 53 d.C., appena 20 anni dalla risurrezione di Gesù. È in Turchia a Efeso e scrive questa lettera, alla comunità cristiana che lì ha fondato, in questa città molto ricca e famosa in Grecia; un porto di mare, crocevia di culture, nazionalità e religioni diverse, città famosa per i suoi vizi e ricchezze. Paolo non potendo scrivere email o viaggiare low-cost scrive lettere. Non deve essere facile essere cristiani in quel contesto così variegato. Sono condizioni molto simili al nostro vivere quotidiano, no? cristiani in minoranza… in questo nostro contesto socio-culturale.
Interessante: non raccomanda loro di pregare e fare chissà quali pratiche religiose o devote. No. Anzi. Dice una cosa che noi dimentichiamo.“Sia che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto… per la gloria di Dio”.
Che effetto fa? Diamoci qualche istante. (…) Mangiare e bere? non chiediamo di meglio, a carnevale poi. Come se mangiare e bere fosse pregare. Forse allora dovremmo anche chiedere perdono se non lo abbiamo fatto. Ma come: essere bravi cristiani non significa non perdere mai la pazienza, non dire parolacce e bugie, non distrarsi nella preghiera, non saltare la messa…? che c’entrano mangiare e bere. E questa Gloria cos’è? (…) Magari sembrerà banale? Allora cambiamo verso, leggiamo al contrario, da destra: Paolo spiega ai Corinzi che Dio ottiene gloria dal modo in cui noi mangiamo, beviamo e facciamo qualsiasi cosa. È la nostra vita ordinaria lo strumento con cui gli diamo gloria. Quella che spesso non sopportiamo, giudichiamo, sentiamo insufficiente o inadeguata. Dio ha bisogno di questa nostra umanità così fragile per parlare di Lui. Mangiare e bere è proprio quello che innanzitutto ci rende umani, bisognosi. Pensate che Gesù ha affidato a questa azione la memoria di Lui, della sua morte e risurrezione. L’eucaristia. Allora le cose si fanno interessanti: credo sia una questione di sguardi. Ho un cibo davanti a me. Pane, vino, supplì e cacio e pepe…tanto altro. Mangio con gratitudine? pensa ad es. a quanto lavoro c’è dietro quel cibo? chi ha coltivato la terra o allevato gli animali, chi l’ha confezionato o cucinato, mamma, moglie o Cannavacciuolo. Passione, competenza, impegno, dignità, diritto. E quelle verdure e quella frutta non sono nati dalla terra? Sono un dono, assieme al sole e all’acqua che le hanno fatte crescere. Dio lo ha affidato a noi il creato, perché ce ne prendessimo cura. Allora si tratta di mangiare con questo sguardo nuovo che non dà per scontato ma riconosce. Frutti della terra e del nostro lavoro…così il sacerdote a nome di tutti durante l’offertorio parlerà a dio del pane e del vino. Dono e compito. E mangiamo per sfamarci come bestie o anche con amicizia e fraternità? lo stupore, la riconoscenza e il piacere di farlo con le persone accanto a noi, magari nostri ospiti. Siamo interessati a loro? Condividiamo ricordi, emozioni, sentimenti e amore? il cibo condiviso o offerto, e figurarsi il resto sono occasioni per creare relazioni secondo lo stile di Gesù, per vivere il regno di Dio? Capite perché la nostra è la fede più bella del mondo? E magari questo cibo diventa anche impegno sociale per chi ha bisogno o si trova in difficoltà? Allora è sempre uno sguardo non indifferente ma di coinvolgimento, in cui vedere in trasparenza la presenza bella e gratuita di Dio, dietro i doni della terra, la passione della gente che prepara, la fraternità dei nostri ospiti, la necessità di chi ha bisogno, nostro prossimo. Tutto mi parla di Dio e io attraverso la mia vita, mi sento vicino a Lui e faccio nel suo nome.
Ascolto mia moglie, faccio i compiti coi figli, visito un amico, passo del tempo con l’adolescente e i suoi auricolari, cucino, riordino, lavo, stiro, sistemo la casa, preparo la tavola, mi prendo a cuore delle persone
Ad maiorem Dei gloriam, è il motto dei Gesuiti, fai tutto per la maggior gloria di Dio, fallo nel suo nome. Ci facciamo il segno della croce prima di scendere in campo a calcio e non si può pensare a questo..semplicemente vivendo? pregare, vivendo.
Tutto questo ci rende gloria di Dio. In ebraico la gloria, kabod, non è proprio la fama, quella che magari passa, fatta di chiacchiere e apparenza…ma il peso che uno ha, la consistenza di come vive. Quella è una persona di peso.. mica quelli per cui dire durante il Tg della sera “sic transit gloria mundi”…
Oggi tra l’altro, con un sorriso, è anche la festa degli innamorati. Prima di pensare ai cioccolatini, credo sia bello chiedersi anche se non manchi uno sguardo innamorato, spesso alla nostra vita, De Andrè in una canzone “mi innamoravo di tutto”.
Uno sguardo sulla realtà che sia capace di non dare per scontato ma stupirsi, andare oltre apparenza, sintonizzarsi con empatia sul bisogno dell’altro, ringraziare, accontentarsi, riconoscere il bello, gratuito, che chiama per nome i propri bisogni e non se ne vergogna, che sa perdere tempo. Un po’ bambino, non infantile! Cosa diceva Gesù dei bambini? sanno offrire i proprio 5pani 2pesci, chi vive così, con leggerezza, perché sa che è figlio ed il padre si prende cura di Lui, gli sta facendo pubblicità, sta dicendo che questo padre è bravo, lo rassicura, conferma ed educa al meglio. La nostra vita cosa racconta di Dio? gli rende gloria? ne fa un Dio…di peso, di parola? la nostra vita fa venir voglia di credere e di sperare in questo Padre? O di evitare questa religione..come la peggiore delle lebbre…La gloria di Dio è l’uomo vivente, diceva Sant’Ireneo nel 200 dC Bellissimo: in questo modo non saremo di scandalo, cioè di inciampo a chi magari voglia avvicinarsi o ritornare.
Facciamo nostro il desiderio con cui Paolo si raccomanda ai Corinzi…perché si giunga alla salvezza, si inizi cioè almeno a desiderare un vita salvata, che dia gloria a Dio.