
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, contemplando i deserti; indi ti posi. Ancor non sei tu paga di riandare i sempiterni calli? Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga di mirar queste valli? Somiglia alla tua vita la vita del pastore. Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?
Leopardi in questo suo “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” ci offre la riflessione amara di quest’uomo provocato dall’austera solitudine della luna che sente la propria vita avvolta dal pessimismo e dall’inquietudine, avendo perso orizzonti di senso che gli diano pace e speranza. Forse anche noi a volte ci siamo sentiti così, magari davanti ad un crocifisso muto o nel silenzio di una chiesa inutile o nel nostro cuore sentendoci traditi da un dio per sentito dire…
Ben altro invece le stelle significano per Abramo nella 1a lettura, Genesi: Dio Padre le usa per indicargli una promessa. Non riuscirai a contarle…così come la tua discendenza. Noi siamo tutti figli di Abramo, assieme ai nostri fratelli maggiori ebrei e ai fratelli e sorelle musulmane. Figli di una promessa che non riesci a comprendere (non puoi contare le stelle) ma che ti fa guardare lontano, promessa di vita e storia, di futuro e speranza. Si fonda su una relazione e Lui ha preso l’iniziativa: Io sono il Signore che ho fatto e faccio storia, strada con te. Lo dirà mille altre volte, il Dio di Abramo Isacco e Giacobbe..con cui essere in rapporto, di cui avere sempre memoria. E come testimoniarlo? Ecco l’immagine di quel fuoco passa in mezzo agli animali squarciati, ci vediamo la nostra vita, un Dio che vuole stare in mezzo alle situazioni in cui abbiamo bisogno della sua luce e della sua presenza, li dove siamo feriti e smarriti. Allora pur se a volte ci sentiamo come quel pastore, siamo chiamati a contemplare un Padre che vuole continuamente essere nostro alleato, prendere l’iniziativa di scuoterci dai nostri torpori e riti narcotici, come nella genesi dove dona la terra e discendenza, cioè vita. È la stessa alleanza che rinnoviamo nella messa, che Gesù ha definitivamente sancito garantendoci con la sua morte e risurrezione la sua presenza promettente tra noi e in noi mediante lo spirito santo. Lo dicevamo domenica scorsa. Ai Filippesi, Paolo ricorda come questa alleanza troverà compimento in cielo, la nostra cittadinanza o patria. Siamo fatti per quello. Qui siamo solo di passaggio, pur nella pienezza che solo qui possiamo vivere e gustare quanto ci viene promesso. Gesù l’anticipa e fa pregustare ai tre discepoli fidati che lo accompagnano sul monte. Pietro, Giacomo e Giovanni dormono sereni, Pietro se ne esce col desiderio di trattenere, ma contemplano un Dio che si compiace di quel suo figlio, dallo stile per quel tempo eretico e rivoluzionario, che parla di misericordia e non di meriti, di amore e non di morale, di perdono e mai di colpa.
Nel 18° sec. il filosofo tedesco Kant dice una delle sue espressioni fondamentali: «Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me». Noi per fortuna abbiamo un cielo stellato che ci ricorda promesse e memoria, e in noi non una legge morale che rende soldatini del galateo religioso ma una presenza alleata. Essa ci parla, ci indica il meglio per noi possibile, ci sussurra continuamente che tutto quel che viviamo, anche questa quaresima, ha sullo sfondo una promessa, di relazione, alleanza, storia. Non siamo soli e affranti come quel pastore. La promessa di Abramo, compiuta dal figlio trasfigurato ci ricorda il credito che sempre Dio Padre ci offre: credito di vita, verità, pienezza, libertà da recriminare, da assaggiare, di cui essere portatori di diritto e non spettatori muti. Da pretendere non da temere. A cui restare saldi, come Paolo chiede con forza ai Filippesi.
È bello per noi stare qui, dirà forse goffamente ma in buona fede Pietro. Abbiamo mai avvertito in noi, pur velocemente ma con certezza…che è bello per noi essere cristiani? Abbiamo nella nostra storia di vita cristiana una memoria buona che mi fa dire..ne vale la pena? Chiediamo al Padre la grazia di tale consapevolezza, un’esperienza viva dell’alleanza con Lui che ci faccia non solo passare la luna come un umore nero, di un cristianesimo solo da quaresima e funerale ma vedere le stelle, che da sempre danno direzione e futuro a chi vi si affidi, mentre ci ricordano della promessa di Dio per ciascuno di noi.